Red
15 settembre 2005
Un “patto” per la scuola dell’integrazione
“Trasformare le aule in laboratori in cui sperimentare il valore della multiculturalità”. È questo l’impegno che rappresentanti dell’amministrazione provinciale, insegnanti, dirigenti scolastici e responsabili delle associazioni che si occupano degli immigrati e dei loro diritti si sono assunti al termine di “Inte(g)razioni – a scuola di mondo il mondo a scuola”

SASSARI - “Trasformare le aule in laboratori in cui sperimentare il valore della multiculturalità”. L’obiettivo è fissato, e anche se “c’è ancora tanto da fare per adeguare il sistema scolastico ai grandi mutamenti della società, anche a livello locale”, la Provincia di Sassari e gli operatori del pianeta Scuola sono pronti a rimboccarsi le maniche e a collaborare per “assecondare e favorire l’integrazione tra i banchi di scuola”. È questo l’impegno che rappresentanti dell’amministrazione provinciale, insegnanti, dirigenti scolastici e responsabili delle associazioni che si occupano degli immigrati e dei loro diritti si sono assunti al termine di “Inte(g)razioni – a scuola di mondo il mondo a scuola”, il dibattito ideato dal settore Politiche per l’immigrazione della Provincia di Sassari e dall’associazione temporanea di imprese Mediazione Sardegna, che fa capo alla cooperativa La carovana. Un confronto a tutto campo, quello andato in scena mercoledì pomeriggio nella sala Angioy del palazzo della Provincia. Partendo da un dato. “Diciassette anni fa, quando abbiamo iniziato a parlare di queste cose, i nostri utenti erano quasi tutti adulti di origine senegalese”, spiega Speranza Canu, responsabile del Centro territoriale permanente per l’educazione, da sempre impegnata con azioni concrete nella lotta per l’abbattimento delle barriere culturali nei confronti degli stranieri. “Oggi la multiculturalità è un fatto molto più complesso – aggiunge Speranza Canu – sono aumentati i paesi rappresentati nel nostro territorio, e cresce in maniera esponenziale il numero di donne, bambini e ragazzi”. Ma la scuola, è il messaggio sottinteso, non è cambiata per niente. “Oggi quello che manca è un centro di formazione – dice lei – che permetta a tutti gli operatori scolastici, a iniziare dai docenti, di trasformare il sistema scolastico dall’interno, adeguandolo a un’esigenza destinata ad assumere proporzioni sempre più vaste”. Perché, tanto per rimanere ai dati, “in vent’anni il numero degli studenti di origine straniera in Italia è cresciuto di sessanta volte”, come rivela Lorenzo Luatti, ricercatore del Centro di documentazione del Comune di Arezzo, uno dei tre relatori arrivati da oltre Tirreno per raccontare realtà in cui qualcosa si è già mossa. Siamo all’anno zero o quasi, ma non mancano i buoni propositi. “Finora la scuola ha giocato un ruolo molto marginale nei processi di educazione all’integrazione e alla multiculturalità”, dice l’assessore provinciale all’Istruzione, Laura Paoni. “La Provincia non dispone ancora di dati che aiutino la riflessione – spiega – per questo lavoriamo per creare un osservatorio scolastico provinciale, un tavolo di lavoro permanente per realizzare un percorso comune di conoscenza e di azione”. La Provincia vuole cambiare, non vuole più essere solo “l’ente che finanzia idee e progetti pensati da altri – aggiunge Laura Paoni – ma vuole condividere obiettivi e percorsi con tutti i soggetti che operano nell’istruzione e nella formazione. Per realizzare un processo di integrazione che sia anche di interazione è necessario che la scuola cambi la mappa delle conoscenze e delle categorie con le quali leggere la realtà e il mondo”. Il percorso dovrà partire da molto lontano. “Abbiamo in mente una serie di iniziative culturali destinate a favorire la reciproca conoscenza”, annuncia l’assessore alla Cultura e alla Politiche sociali e giovanili, Sergio Mundula. “I numeri rivelano che l’adozione di politiche adeguate a favorire l’integrazione è un’esigenza inderogabile – precisa Mundula – e il primo passo sarà proprio quello di mettere tutti nelle stesse condizioni in fatto di diritto allo studio e alla conoscenza”. D’altronde, è l’elemento emerso anche dagli interventi di Paolo Ragusa, del Centro psicopedagogico di Piacenza per la pace e la gestione dei conflitti, e Adel Jabbar, sociologo dell’Università Cà Foscari di Venezia, “se davvero si vuole fare della diversità un valore e non un elemento di conflitto sociale, la strada da percorrere è quella”.
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