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Red 12 luglio 2006
Crisi in Provincia: le riflessioni di Alessandra Giudici
Crisi in Provincia: le riflessioni di Alessandra Giudici

Le affermazioni dei sei consiglieri provinciali che, pur facendo parte della coalizione di maggioranza, si pongono in posizione fortemente critica nei confronti miei e della giunta che presiedo, mi impongono alcune doverose precisazioni.

La prima, la più ovvia, è che ho motivo di continuare a sostenere che la loro scelta di abbandonare l’aula al momento di avviare il dibattito sul bilancio consuntivo del 2005 non possa essere in alcun modo collegabile al contenuto del conto consuntivo o al modo in cui è approdato in aula, come da qualche giorno ci si affanna a sostenere. Se la protesta fosse davvero legata al consuntivo, non vedo cosa abbia impedito di sospendere la seduta per convocare una conferenza di capigruppo che stabilisse di rinviare il dibattito consiliare, permettendo così ulteriori analisi e confronti anche in conseguenza delle osservazioni negative formulate dal collegio dei revisori. È esattamente quello che è successo stamattina. Non capisco perché non si sia proceduto in questo modo anche giovedì scorso, magari per aprire il dibattito già nella riunione di maggioranza che si sarebbe dovuta tenere in quello stesso giorno. Riunione che non si è tenuta perché non c’erano tutte le parti che compongono la coalizione, essendo a quel punto assenti i consiglieri Palmas, Manca, Cocco, Desini, Deriu e Carbini.

Un’altra versione vuole che la protesta non sia tanto nei confronti del consuntivo, ma nella mia decisione di approvarlo prima di rendere conto in merito alla maggioranza consiliare. Premessa: il consuntivo è stato approvato dalla giunta, è stato esaminato dalle commissioni competenti, che a proposito hanno ascoltato anche l’assessore Franco Borghetto, e solo dopo è stato inserito nell’ordine del giorno del consiglio convocato dal presidente Enrico Piras. Ferma restando tale premessa, giova ricordare che ho ricevuto una richiesta dei capigruppo di maggioranza per una riunione di verifica in cui avremmo dovuto fare il punto della situazione in vista del rush finale prima della pausa estiva. Insomma non era previsto, né implicitamente né esplicitamente, che si parlasse di bilancio consuntivo, perciò non abbiamo ritenuto un problema fissare l’incontro per lo stesso giorno del consiglio. Che tra l’altro, per motivi istituzionali e amministrativi, era il primo giorno disponibile per tutti. Va precisato ancora che il parere negativo fornito sul consuntivo dal collegio dei revisori, parere attorno al quale ruoterebbe il malumore e la necessità di bloccare l’iter di approvazione, ci è stato fornito in un momento successivo alla convocazione di quella riunione. Ecco perché, anche in base alla ricostruzione cronologica dei fatti, respingo con forza la teoria secondo cui io avrei negato un confronto sul consuntivo e ne avrei imposto la discussione in aula. È una teoria pretestuosa e strumentale.

Sgombrato il campo da un equivoco tanto evidente, restano da capire le ragioni di un tanto plateale gesto di protesta. Non è il consuntivo, non è il mancato dibattito in maggioranza sul consuntivo, ma è la scarsa disponibilità del presidente della Provincia nei confronti del consiglio. O meglio, di certi consiglieri. Ora, posto anche che il problema esista e vada affrontato, la sede più opportuna sarebbe stata proprio la riunione di maggioranza prevista dopo qualche ora da quel gesto che, oltre tutto, è stato spiegato solo il giorno dopo attraverso un comunicato stampa. Si porta ad esempio della mia volontà di andare avanti da sola una presunta “vicenda terme di Casteldoria”. Anche qui occorre fare chiarezza. Su Casteldoria, secondo i programmi della coalizione e gli accordi presi con la maggioranza consiliare e coi capigruppo dei partiti di maggioranza, la giunta ha votato all’unanimità una delibera in cui si invitava a manifestare interesse per la gestione dell’impianto termale. Oltre ad averne condiviso preventivamente il contenuto con la maggioranza, la delibera è stata sottoposta all’attenzione delle commissioni competenti. I timori manifestati da qualcuno anche successivamente erano legati alla possibilità che i parametri fissati per la partecipazione alla manifestazione di interesse fossero troppo rigidi e finissero per tagliare fuori le imprese locali. La questione è stata oggetto di un’interpellanza discussa in consiglio, interpellanza cui ho risposto in maniera più circostanziata possibile, spiegando perché quei parametri e non altri fossero più adatti all’obiettivo di evitare che speculatori e improvvisatori mettano le mani su una struttura e un progetto che riteniamo tanto importante per lo sviluppo del territorio. Dico questo perché un conto è sostenere che non ascolto o non rispondo ai consiglieri, altra cosa è dover constatare che le mie risposte non soddisfano qualcuno. Di questo prendo atto e se ne dovrà discutere tutti assieme.

Non potendo essere la mia scarsa disponibilità al confronto la sola spiegazione per un gesto che ha preceduto solo di pochi minuti una riunione che a quel punto non si è più potuta tenere, si lamenta il totale scollamento tra giunta e consiglio. Ribadito che anche in questo caso si poteva avviare il confronto nelle sedi opportune, occorre riflettere sulla necessità di ristabilire un rapporto più equilibrato e corretto tra i due organi. Tutti i partiti che compongono la maggioranza consiliare sono rappresentati in giunta. Non mi pare che l’esecutivo o il suo presidente abbiano mai forzato la mano per imporre delle scelte contro la volontà dei consiglieri di centrosinistra e sardisti. Nessun atto di forza e nessun “lasciateci lavorare in pace”. Non pretendo una coalizione acritica e asservita, ma non ritengo di poter accettare che di tanto in tanto qualcuno si accordi per farci mancare la maggioranza, ricordandoci così che senza i numeri per governare il consiglio siamo legati per mani e piedi. In questo modo, la presenza in maggioranza e in giunta di determinati partiti viene tradotta in una minaccia, un tentativo di tenere l’esecutivo sotto schiaffo e di lasciarlo in vita solo fino a quando obbedisce. Esiste anche il rovescio della medaglia, come testimonia la scelta, dolorosa quanto riparabile, di fare a meno a queste condizioni della collaborazione di tre assessori cui ribadisco la mia stima incondizionata. Non è stato il mio un gesto di stizza o una reazione ingenua, ma è stata una scelta. È stata una manifestazione della volontà di lanciare un segnale chiaro: se questo è il clima, occorre ridiscutere tutto e chiarire se ci siano le condizioni per restare uniti e giocare a carte scoperte, come si aspetta anche chi ci ha eletto e ci sostiene.

Tralascio le volgari insinuazioni di chi mi accusa di fare la morale e mette in discussione la mia condotta. Non ho niente da nascondere. Anche a voler tornare indietro nel tempo fino alla questione delle nomine nella Fondazione Banco di Sardegna. Penso che a questo punto sia chiaro a tutti che i criteri utilizzati siano stati gli stessi che si sono adottati e che si adotteranno per le altre nomine che ci competono. Si tratta di organizzare l’apparato di sottogoverno in maniera funzionale agli obiettivi politici che ci si vuole dare. Per questo intervengono i partiti e cercano accordi che possano soddisfare tutti, ferma restando la necessità di favorire la chiarezza delle scelte e l’efficienza di enti, società e associazioni di cui gli enti pubblici locali entrano a far parte. Anche in quel caso l’argomento è stato utilizzato strumentalmente per far venire a galla malumori sopiti e mai risolti. Ecco perché ho sostenuto che una verifica sia necessaria e ho creato le condizioni per aprirla e chiuderla in tempi brevi. Non si cerchi con questo di dare giustificazioni politiche a un gesto e a un atteggiamento fuori luogo. Piuttosto, ritroviamoci e ristabiliamo le ragioni per cui vale la pena andare avanti.

Alessandra Giudici



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