A.B.
5 giugno 2015
Concluso a Cagliari il congresso nazionale del Simspe
Oggi c’è ancora una elevata percentuale di persone che muore di overdose nelle prime settimane successive all’uscita dal carcere, oltre a persone che nel primo anno rientrano in carcere perché compiono nuovamente dei reati

CAGLIARI - Si è concluso oggi (venerdì) a Cagliari il sedicesimo Congresso Nazionale Simspe-Onlus/L'Agorà Penitenziaria 2015, intitolato "Se il Paziente è anche Detenuto". L'appuntamento, che ha visto presenti 250 specialisti, italiani ed europei, è organizzato e presieduto da Sergio Babudieri, professore di Malattie Infettive all’Università di Sassari, presidente della Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria e coordinatore scientifico del congresso. «Il titolo "Se il Paziente è anche Detenuto" è già eloquente - spiega Babudieri - Si tratta di un richiamo per tutta la nostra categoria di medici, ma anche per infermieri, operatori sanitari, agenti di polizia penitenziaria che operano all’interno dei 199 istituti penitenziari italiani, che deve ricordare che stiamo parlando di pazienti. Sono detenuti, ma in primo luogo sono dei pazienti. La peculiarità della medicina penitenziaria è che anche le persone che sono sane ricadono sotta la giurisdizione del magistrato di sorveglianza che ha la responsabilità della loro salute; peraltro, per sapere che una persona non è malata è necessario comunque un atto medico».
«La Simit, Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali – dichiara Massimo Andreoni, professore di Malattie Infettive, Università di Roma “Tor Vergata” e Presidente Simit - è molto interessata al prossimo convegno nazionale di medicina penitenziaria in quanto ritiene che le istituzioni nel mondo carcerario rappresentano una priorità. Recenti studi condotti in merito, infatti, dimostrano come la percentuale di detenuti con infezioni da virus epatitici, dal virus dell’Aids e da tubercolosi sia rilevante». «La sanità penitenziaria appartiene alla medicina sociale - aggiunge Luciano Lucanìa, attuale vicepresidente Simspe - il carcere non è un luogo di cura o di ricovero, ma una residenza, ospitando coattivamente delle persone che altrimenti sarebbero altrove. Ciò che avviene nelle carceri ha dunque una valenza socio-sanitaria, in quanto il carcere resta una parentesi transitoria nella vita di un individuo: la questione sociale è dunque una componente del problema».
Sono 2milioni in Europa i detenuti ospitati nelle strutture penitenziarie, con un tasso di occupazione media del 104percento. Il Paese con il maggior tasso di sovraffollamento, rispetto alla capienza massima tollerabile, è la Grecia, con il 133,9percento, mentre 680mila sono gli utenti delle prigioni russe. Numeri alti, che aiutano a fotografare un ambiente che ha bisogno di un forte cambiamento, soprattutto a causa di un sistema penitenziario che non riesce a controllare adeguatamente la popolazione presente. Lo scambio di Buone Pratiche in ambito Sanitario Penitenziario è stato il tema dell’incontro, nel quale sono emersi dati che riportano però ad una realtà europea penitenziaria allarmante: la popolazione europea che è transitata durante un anno in carcere si aggira a 6milioni. Molto spesso, per reati legati alle droghe le cause principali della detenzione in carcere, ma la problematica non si ferma all'esterno delle mura penitenziarie, ma colpisce anche il loro interno. Secondo i dati del Centro Europeo per il Monitoraggio sulle Droghe e le Dipendenze presentati nello stesso incontro, quando un utente arriva in carcere con un’incriminazione o una sentenza relativa all’uso ed allo spaccio di droghe, è soprattutto la cannabis la sostanza incriminata, per il 73,7percento delle persone. Di questa percentuale, l'84,9percento arriva in carcere per uso, il 12,6percento per spaccio. A seguire, le altre sostanze stupefacenti sono la cocaina (8,4percento), anfetamine (5,7percento), altre sostanze (5,3percento), eroina (4,7percento), ecstasy (1,2percento).
Ma la dipendenza colpisce ed affligge anche all’interno delle mura carcerarie: in Italia, circa il 60percento dei detenuti fa uso di droghe, il 33percento cannabis, il 40percento cocaina e circa il 5percento anfetamine. Tra i Paesi che vedono il maggior uso in carcere di droghe, l'Olanda raggiunge quota 80percento, soprattutto per quanto riguarda la cannabis. Anche in Spagna si consuma principalmente la stessa sostanza, circa il 58percento dei detenuti, ma percentualmente l’Olanda ed il Regno Unito (70percento) sono i Paesi con maggior consumo di cannabis in Europa. Sempre nelle carceri degli stessi due Paesi, il 79percento della popolazione penitenziaria usa sostanze stupefacenti. Una situazione che preoccupa anche le strutture italiane: nella classifica il nostro è al settimo posto su diciassette Paesi monitorati. I detenuti che registrano un minor consumo di stupefacenti sono invece in Slovenia, Romania e Croazia. Oggi, c’è ancora un'elevata percentuale di persone che muore di overdose nelle prime settimane successive all’uscita dal carcere, oltre a persone che nel primo anno rientrano in carcere perché compiono nuovamente dei reati. «Lasciare a se stessi questi pazienti - chiosa il professor Monarca - espone loro stessi a elevati rischi per la loro salute e la società stessa per la recidività dei reati. Studi americani confermano che nei primi cinque anni dalla liberazione, circa il 75percento rientra in carcere; il 43percento solo nel primo anno. In Italia non abbiamo percentuali così elevate, ma nel primo anno siamo comunque intorno al 30percento. Questi sono dati che vengono dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, dove esiste una capacità di monitoraggio di queste situazioni molto precisa».
Nella foto: Sergio Babudieri e Luciano Lucania
|