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Red
10 novembre 2012
Parchi: senza gestione non c’è protezione
Come proteggere le aree protette: il responsabile nazionale del Wwf Oasi fa il punto sulla situazione parchi nel mondo. E per l’Italia fa anche l’esempio della Sardegna: per il Gennargentu, per Molentargius e per Porto Conte. Perché per salvare la natura bisogna anche sapere come proteggerla

ALGHERO - «Di recente le associazioni ambientaliste hanno per esempio denunciato l'inquinamento acustico estivo alla Spiaggia delle Bombarde, ad Alghero, nel Parco di Porto Conte e l'ampliamento della struttura dello stadio Is Arenas ad una manciata di metri dal Parco del Molentargius. Sono segnali che non vanno sottovalutati. Perché le aree protette sono un sicuro investimento per il futuro e come tali vanno sostenute»: si chiude con un monito, esemplificato dalla situazione in Sardegna, l’importante articolo di Antonio Canu, presidente nazionale del Wwf Oasi, sulla situazione mondiale delle aree protette. E la conferma che il rumore è una fonte di inquinamento altrettanto insidiosa e dannosa per la natura allo stesso livello dei rifiuti tossici. Emergenza Bombarde. Emergenza Calich. Emergenza Parco. Mentre la politica ad Alghero sembra incagliata su Porto Conte e dintorni, incapace di trovare il giusto equilibrio fra scelte politiche e scelte tecniche, il Wwf nazionale scende in campo, con il responsabile dei parchi e delle aree protette in Italia.
Il punto di vista di Canu, esposto nel lungo articolo sulla Nuova Sardegna del 7 novembre è globale: «Sono 160.000 i parchi naturale e le altre aree protette nel mondo. Che coprono una superficie pari al 13% della superficie terreste e l'1,6% di quella marina. E' quanto si può apprendere dal Rapporto Mondiale sul Pianeta Protetto (Protected Planet Report 2012), appena diffuso dall'UNEP (il Programma Ambiente delle Nazioni Unite in collaborazione con l'IUCN, l'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura). Numeri e percentuali sicuramente interessanti, quasi inimmaginabili fino a non molto tempo fa. Eppure proprio negli ultimi anni, il numero delle aree protette è cresciuto in maniera progressiva, perché ritenute uno strumento necessario ed efficace per combattere la perdita di biodiversità e mantenere in salute il più possibile gli ecosistemi naturali. Proprio il Piano Strategico per la Biodiversità 2011 - 2020 che fa capo all'omonima Convenzione internazionale (CBD), prevede al Target 11, la protezione del 17% degli ecosistemi terrestri e il 10% di quelli marini, entro il 2020.»
C’è una stretta relazione fra protezione delle specie, salvaguardia della biodiversità e funzionamento degli ambienti naturali. Scrive Canu lanciando l’allarme: «L'ultima Lista Rossa delle Specie, cioè il rapporto dell'Unione Internazionale per la Natura sulle specie a rischio del pianeta, informa infatti che 19.817 specie a sono in pericolo di estinzione, di cui il 41% di anfibi, 33% di barriere coralline, 25% di mammifere, 13% di uccelli e 30% di conifere. Senza contare la scomparsa di specie mai conosciute o ancora da classificare, quelle più piccole, localizzate. La biodiversità e gli ecosistemi di cui sono parte, sono fondamentali per la vita del pianeta e quindi anche della popolazione umana. I beni e i servizi che mettono a disposizione sono fondamentali per il benessere e lo sviluppo delle comunità, a tutti i livelli. Da quelle più povere che dipendono direttamente dalle risorse a portata di mano a quelle che vivono nelle grandi città e che comunque hanno bisogno di cibo, acqua, fibre, materiali vari. Eppure proprio le attività umane sono la causa dell'estinzione delle specie con un tasso superiore a quello naturale fino a 1000 volte negli ultimi 100 anni. Come è facile dedurre, le percentuali di Pianeta protetto sono ancora al di sotto degli obiettivi previsti. In particolare il mare, fermo all'1,6 %, tra l'altro quasi tutto localizzato lungo le fasce costiere».
Ma c’è una preoccupazione in più: che le aree protette seppure esistenti non funzionino come dovrebbero, siano abbandonate all’inerzia istituzionale e all’incuria collettiva, come potrebbe succedere anche ad Alghero, come appunto sottolinea Canu. Che così spiega la situazione italiana: «Cadute gran parte delle barriere sia normative che culturali che ostacolavano l'istituzione di parchi e riserve naturali, oggi una buona fetta del nostro patrimonio naturale e paesaggistico è protetto. Anche nel caso italiano valgono però gli stessi interrogativi che ci si è posti a livello globale. E cioè se la percentuale di territorio attualmente tutelato è rappresentativo del patrimonio naturale nazionale e se sono comprese quelle a maggiore importanza per la biodiversità. Se pensiamo che ancora oggi la Laguna di Venezia o il comprensorio del Gennargentu- Supramonte non godono della tutela necessaria, significa che ci sono ancora roccaforti di biodiversità che meritano provvedimenti di salvaguardia e corretta valorizzazione».
La preoccupazione per la corretta gestione delle aree protette quindi, secondo Canu, diventa cruciale: « Anche in Italia si pone poi il problema della gestione. Nelle mille e più aree protette non sempre, anzi, si è raggiunto un livello di gestione adeguato. Ancora oggi molti parchi e riserve naturali soffrono la mancanza di risorse finanziare, non hanno gli strumenti di gestione necessari, sono oggetto di sfruttamento o sono isolate dal contesto territoriale circostante. Prendiamo la Sardegna. La quale ospita due parchi nazionali, due parchi regionali, 4 aree protette marine oltre ad una porzione del Santuario dei Cetacei, una decina di monumenti naturali, e il parco Geominerario Storico della Sardegna. Ora, a parte che all'appello mancano molte aree strategiche per la biodiversità e il paesaggio naturale sardo - dai rilievi montani alla fascia costiera, dalle foreste secolari alla rete di zone umide - anche i parchi e le riserve già istituiti soffrono la scarsità di risorse - dovute ai tagli ai finanziamenti, a cominciare da quelli dello Stato - o non hanno operativi gli strumenti di gestione, come nel caso dei due parchi regionali. Questo rende più complesso e difficile raggiungere un'efficacia di gestione e si corre il rischio di non prendere decisioni o di fare, anche involontariamente, errori di valutazione».
Nella foto: Antonio Canu, presidente nazionale del Wwf Oasi
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