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Red 12 giugno 2013
Pastorizia, nasce il patto del latte
La Sardegna come l’Emilia Romagna e le regioni italiane più avanzate in campo agricolo. «Il settore agricolo e pastorale ha un ruolo determinante per la nostra economia»
Pastorizia, nasce il patto del latte

SASSARI - La Sardegna come l’Emilia Romagna e le regioni italiane più avanzate in campo agricolo, con i vari attori della filiera del latte che si siedono intorno a un tavolo e decidono insieme quali politiche attuare affinché il mercato possa essere remunerativo per tutti, dai produttori agli industriali. E’ questo lo scopo del "Patto del Latte" promosso dal Consiglio regionale con l’Ordine del Giorno 98, approvato all’unanimità il 5 giugno scorso e illustrato in una conferenza stampa dal primo firmatario, Efisio Arbau, vicecapogruppo di Sardegna E’ Già Domani – La Base, insieme al consigliere del Partito Democratico, Giuseppe Cuccu.

«Il settore agricolo e pastorale ha un ruolo determinante per la nostra economia, anche in tempo di crisi: è il settore che può portarci fuori dalle secche della stagnazione, perché la popolazione mondiale è in continua crescita e con essa la domanda di prodotti alimentari», ha spiegato Arbau. «L’ordine del giorno recepisce il pacchetto latte istituito dall’Unione Europea, che prevede la costituzione di organismi interprofessionali che governino il mercato dei singoli prodotti agricoli e regolamentino la produzione. Si tratta di associazioni riconosciute che hanno al loro interno tutti gli operatori del comparto e hanno potere sanzionatorio nei confronti di chi vende i prodotti sottobanco facendo crollare il prezzo. Inoltre, decidono come programmare le produzioni, su quali tipi di formaggio concentrarsi in base alla domanda e all’offerta, quando immettere il formaggio nel mercato e in quali quantità e come commercializzarlo».

«Oggi, il problema è che i produttori non hanno un prezzo del latte remunerativo, ma non lo hanno neanche le cooperative e gli industriali, perché il 50 per cento del valore aggiunto viene incamerato dal settore commerciale», ha sottolineato il primo firmatario dell’odg. «Una volta fissata una base normativa per il funzionamento dell’organizzazione, per la Regione viene la parte più difficile: serve un’attività diplomatica che consenta di superare la ventennale guerra tra produttori e trasformatori e devono essere l’Assessore all’Agricoltura e la Commissione consiliare competente a mettere insieme le parti. L’interesse comune c’è, perché la congiuntura economica è favorevole. La Regione non deve investire risorse per incrementare il prezzo del latte ma spingere il settore a fare sistema, anche fornendo un supporto all’organizzazione tramite i tecnici dell’agenzia Laore».

«Il prezzo è salito fino a 70, 75 centesimi a causa dell’andamento ciclico del pecorino romano sul mercato statunitense, dando respiro al comparto - ha aggiunto Cuccu. Tutti sanno, però, che il momento favorevole potrebbe non durare a lungo, per questo è necessario intervenire ora. Il ‘Patto del Latte’ è un accordo di solidarietà che deve portare a un’equa ripartizione tra i tre settori coinvolti (produzione, trasformazione e commercializzazione) sia del valore aggiunto che del rischio di impresa, oggi interamente a carico dei produttori».

Arbau ha ricordato l’incontro organizzato a Gavoi il giorno prima della discussione in Consiglio della sua mozione che, unificata con le interpellanze di Cuccu e del capogruppo di Sardegna E’ Già Domani, Mario Diana, ha dato origine all’odg unitario. «Tutti i soggetti hanno mostrato interesse per la proposta - ha detto il consigliere. Per gli industriali è necessario che la pastorizia rimanga in vita, quindi non ha senso farsi la guerra. L’organizzazione rappresenterebbe più del 10 per cento dell’economia sarda, coinvolgendo circa 30 mila imprese, e avrebbe più forza contrattuale anche verso la Regione. Per avere un prezzo remunerativo, che non può essere inferiore a un euro, si deve puntare a incrementare il valore aggiunto di 200, 300 milioni, soprattutto abbattendo i costi energetici e di approvvigionamento dei mangimi e accorpando i costi di promozione del prodotto all’estero, oggi a carico dei singoli industriali».
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