Red
11 gennaio 2014
Polemica Chessa-Murgia: Pigliaru vale Cappellacci?
«… ci sarebbe qualcosa di eticamente grandioso nella tua rinuncia …»: con una lettera aperta sulla prima pagina della Nuova Sardegna, Pasquale Chessa ha illuminato il problema del voto utile. Michela Murgia ha risposto alzando il tiro contro il partito democratico. Un botta e risposta destinato ad aprire un nuovo fronte nel dibattito a sinistra. Tema: ma davvero il Partito democratico si equivale a Forza Italia?

CAGLIARI - Lo scambio di lettere fra Pasquale Chessa (saggista storico e giornalista) e Michela Murgia (scrittrice candidata) pubblicate sulla prima pagina della Nuova Sardegna, ha aperto un nuovo fronte nella discussione politica intorno alle prossime elezioni regionali del 16 febbraio. È stato Chessa, con la sua lettera a illuminare il tema sotterraneo, un non detto chiacchierato da tutti, dello scontro in atto a sinistra: il pericolo che la contrapposizione fra le due candidature contigue, non sovrapponibili, determini la vittoria del candidato di Forza Italia, il presidente uscente, Ugo Cappellacci. «… ci sarebbe qualcosa di eticamente grandioso nella tua rinuncia …», ha chiesto Chessa senza mezzi termini strutturando la sua proposta su un incipit fulminante venerdì 10 gennaio: «Cara Michela, l’altra notte mi sono svegliato con un incubo… Ma forse era un sogno: come in un lampo mi sono apparsi i risultati delle prossime elezioni regionali: Ugo Cappellacci risultava vincente, per un solo voto di vantaggio su Francesco Pigliaru. Quel voto era proprio il tuo!»
Il giorno dopo sulla prima della Nuova è apparsa la risposta della scrittrice che tiene alto il tono con grande piglio e prosa ferma: «Caro Pasquale,da piccola avevo una maestra che mi diceva che i sogni bisogna sceglierseli bene, per non sciupare il risveglio. Quando ho letto la tua lettera ieri ho pensato che quel consiglio dovrebbe valere anche per gli incubi.». Il ragionamento di Chessa faceva perno sul problema del voto utile: «C’è un momento però in cui i voti non si pesano ma si contano. Talvolta può risultare doloroso, come troppe volte è successo negli ultimi venti anni anni, ma in democrazia deve vincere chi conta più voti. (…) Se mio sogno, o incubo che sia, dovesse sembrare a tutti una possibilità non impossibile, anche alla prova dei sondaggi l’ultima settimana prima delle elezioni, se la sentirebbe la tua coscienza civica di chiedere ai tuoi elettori di scrivere sulla scheda Michela Murgia mentre sai bene che tanto varrebbe scrivessero direttamente Ugo Cappellacci!? Ecco perché ti propongo pubblicamente di rinunciare ai tuoi voti per far vincere il candidato che stimi di più. E so che di Pigliaru hai grande stima. Prima di rispondere c’è una sottodomanda che bisogna tenere presente: pensi davvero che fra il centrodestra e il centrosinistra di oggi in Sardegna oggi non ci sia nessuna differenza?»
La risposta della scrittrice di Accabadora tocca un altro punto dolente della polemica a sinistra: la vera identificabilità del Pci nella sinistra in Sardegna: «Per te l’incubo è partigiano: come molti, anche tu temi semplicemente che vinca Cappellacci. Per me e per molti sardi l’incubo è assai più politico e terribile: quello che temiamo è un’altra vittoria del vecchio e corrotto sistema di potere che da anni in Sardegna non ha più colore né partito. Quel potere si spartisce le poltrone senza alcun pudore, assegnandosi una fondazione bancaria a sinistra e un’autorità portuale a destra. Quel potere tutela gli equilibri con Roma assai più che i bisogni reali dei sardi. Quel potere ha deciso una legge elettorale iniqua e antidemocratica fatta apposta perché non si possa governare stabilmente senza essere almeno un po’ amici, al di là degli schieramenti e delle scelte degli elettori.» La teoria di Chessa non lascia scampo alla responsabilità della candidata Murgia se non dovesse vincere e i suoi voti insufficienti provocassero anche la sconfitta di Francesco Pigliaru: «Come capita agli scrittori e agli intellettuali inevitabilmente spinti a riflettere sul «legno storto dell’umanità» anche in politica talvolta è giusto dire «vogliamo tutto».
Ma pretendere tutto a ogni costo, cioè sapendo di non ottenere niente, è un peccato morale irredimibile. Il pasticcio indicibile in cui si è ficcato Grillo in Sardegna dice molto di più di un trattato scientifico sulla natura ultima dell’antipolitica. Perche se la democrazia ci chiede di essere vissuta come il male minore, che è pur sempre un male, quando ci tocca di vivere con il male peggiore il pentimento e la pena sono ancora più grandi. Qualsiasi sia il giudizio storico politico che se ne voglia dare, non posso pensare che per te la Sardegna di Soru sia stata uguale a quella di Cappellacci». Murgia apprezza il ragionamento ma non se ne lascia irretire. E risponde a tono attaccando a soprpresa persino Renato Soru: «Quel potere in questi cinque anni ha governato unito, consentendo che ben 40 leggi fossero approvate grazie all’accordo tra capigruppo, senza passare nelle commissioni. Non è un caso che Renato Soru, il capo dell’opposizione, sia stato campione di assenze in consiglio regionale: un’opposizione non serviva a nessuno. Quel potere infatti si appoggia da sempre alle intese trasversali che adesso va di moda chiamare “larghe”, anche se larghe non lo sono per nulla, anzi: sono intese strettissime tra pochi intimi, fatte su misura perché nei loro progetti di spartizione rientrino solo i nomi decisi a monte. È a quel potere, caro Pasquale, che tu mi chiedi di cedere il passo, perché anche l’onesto Pigliaru, nel momento in cui si è seduto sulla poltrona del candidato presidente del centro sinistra, è diventato suo malgrado il paravento di un pezzo significativo di quel sistema, così tanto più forte di lui che non gli ha permesso di negoziare neanche la non candidatura degli inquisiti e dei soliti noti.
Non mi stupisce che, davanti alla fortissima richiesta di onestà e giustizia sociale che viene dai sardi (e anche davanti a qualche significativo sondaggio), i signori della poltrona siano sempre più agitati e nervosi, ma tu mi attribuisci un potere che non ho: farli perdere non dipende dal fatto che Sardegna Possibile proponga ai sardi il suo progetto, costruito con i territori in mesi di incontri partecipati. I partiti non vincono o perdono perché hanno concorrenti validi, ma perché fortunatamente sono ancora gli elettori che scelgono di chi fidarsi: chi perde, perde contro i sardi e lo sa. Se in quelle consorterie di potere si avverte il timore della sconfitta, non è solo perché hanno paura di Sardegna Possibile, ma perché sanno benissimo quanta delusione e sfiducia serpeggi tra i loro elettori, la cui volontà è stata disattesa per troppe volte, non ultima quella delle primarie.»
Chessa aveva concluso la sua lettera aperta toccando le corde più profonde del sentimento politico: «Cara Michela ci sarebbe qualcosa di eticamente grandioso nella tua rinuncia. Un gesto di impegno civile che non ha pari nella storia politica del presente. Un geniale clic. Per dire al tuo elettore di votare si la tua coalizione e il tuo partito, ma nello stesso tempo di non votare te per far vincere Pigliaru. Una follia? Una pazzia? Ebbene si. Talvolta solo la corda pazza della nostra vita (cito Pirandello, Berretto a sonagli) ci consente di vedere la strada giusta. Giusta, non perché la migliore in assoluto, ma solo perché percorribile da tutti. Con fierezza e dignità».
Murgia conclude rivendicando il suo ruolo cruciale nel prossimo scontro elettorale: «Usciamo dalle partigianerie, Pasquale; qui non si tratta più di non far vincere questo o quello, ma di costruire un modo nuovo di essere comunità, che non ci faccia tappare il naso nell’urna, che non ci spinga a vergognarci di chi abbiamo eletto e che restituisca a tutti noi il diritto di credere nella politica e nel nostro futuro. Se questo significa che i signori della poltrona staranno fermi un giro, possiamo solo esserne contenti, perché è per colpa del loro indefesso lavoro che l’incubo peggiore lo stiamo già vivendo. L’unico voto che mi permetto di chiamare inutile è quello che mantiene lo stato di cose in cui ci troviamo. Lasciamo che per una volta vinca un progetto diverso e nuovo, che rimetta insieme con amore e dignità i pezzi che ci hanno lasciato in mano. Poi potremmo tornare, se non proprio a sognare, almeno a dormire sereni».
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