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Red 11 gennaio 2015
«Commissione d’inchiesta sulle partecipate»
Il caso sardo approda in Parlamento e in Consiglio regionale. I Riformatori chiedono una commissione d’inchiesta regionale e il deputato Pierpaolo Vargiu presenta un’interrogazione al ministro dell’Economia
«Commissione d’inchiesta sulle partecipate»

CAGLIARI - Subito la commissione d’inchiesta sulle partecipate regionali. Lo chiedono i consiglieri regionali dei Riformatori sardi, Attilio Dedoni, Michele Cossa e Luigi Crisponi, che hanno presentato formale richiesta in Consiglio regionale. Non solo: il presidente della commissione Affari Sociali della Camera, Pierpaolo Vargiu, ha anche presentato un’interrogazione urgente al ministro dell’Economia. Insomma, il caso partecipate, denunciato dai Riformatori finisce sia in Parlamento sia in Consiglio regionale. Una questione che riguarda sia le partecipate regionale sia quelle comunali e provinciali.

«I dati relativi alle società partecipate da parte delle istituzioni regionali sarde e fotografati nella relazione del commissario per la spending rewiev Cottarelli e nell’indagine della Corte dei Conti del luglio scorso, - spiegano i consiglieri regionali dei Riformatori - sono assolutamente impietosi, riscontrando nell’Isola ben 28 società partecipate regionali, 11 delle quali sono da tempo in liquidazione, con ben 5.638 dipendenti (240 milioni di euro di costo del personale) e 124 nuove assunzioni nell’ultimo anno. Tale sistema di partecipazioni, molte delle quali di dubbia utilità, costa alla regione Sardegna ben 366 milioni di euro l’anno, 3 milioni dei quali vanno a remunerare l’ulteriore scatola cinese delle consulenze esterne (evidentemente non sono sufficienti gli oltre 5.000 dipendenti per avere in casa le necessarie professionalità), mentre ben 2 milioni e mezzo di euro vanno a pagare annualmente gli emolumenti dei 77 componenti di organi di amministrazione che, sopravvissuti ai referendum del 2012 (in precedenza erano più numerosi), percepiscono in media la considerevole somma di 31.287 euro l’anno».

Altrettanto disastrosa, proseguono i Riformatori, «appare la corrosiva ramificazione delle partecipazioni negli altri livelli dell’amministrazione sarda: le Province, pur in liquidazione per effetto dei referendum regionali abrogativi del maggio 2012 e delle norme abrogative statali, contano a loro volta ben 30 società completamente o parzialmente partecipate mentre, secondo i dati del CERVED, sono 135 le partecipate comunali, con una pletora di 4.731 dipendenti, che conferiscono alla Sardegna il poco invidiabile primato del più alto numero percentuale di dipendenti nelle partecipate comunali (2,9 per mille abitanti) tra tutte le regioni del sud Italia».

A questi numeri, vanno aggiunte tutte le attività economiche, a vario titolo finanziate dalle casse delle istituzioni regionali e comunali e, conseguentemente, in varia misura controllate dalle nomine politiche: si va dall'Ente Foreste all'AREA, dagli ERSU ai Consorzi di Bonifica, alle varie Agenzie Regionali, con una progressiva rarefazione della trasparenza delle informazioni. Per comprendere come si rischi di scoperchiare un vero e proprio vaso di Pandora, spiegano i consiglieri regionali, è più che sufficiente la stessa relazione della Corte dei Conti che testualmente conclude: “«A seguito dell’istruttoria si è potuto riscontrare che la regione non esercita alcun controllo, in termini di semplice conoscenza, su aspetti essenziali ai fini dell’esercizio dei propri compiti gestionali e della propria programmazione finanziaria».
19/11/2025
Abbiamo più volte spiegato con chiarezza che per difendere la Sardegna dagli effetti negativi dell’autonomia differenziata bisogna attivare e modernizzare le norme di attuazione dello Statuto speciale, l’unico strumento in grado di rendere realmente operativo il principio di insularità inserito in Costituzione e di colmare il gap che la nostra Regione paga da decenni



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