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Sara Alivesi 6 giugno 2015 video
Africa-Alghero: storie di migranti
Speciale immagini e interviste
Le giornate passano nell'ex convitto fatiscente di Santa Maria La Palma, in attesa di sapere dove saranno trasferiti i migranti arrivati in città domenica scorsa, dopo l'eccezionale sbarco a Cagliari. E ora spunta l'ipotesi di un privato


ALGHERO - C'è Lamin che viene dal Ghana con un fratello in carcere per motivi politici (c'è una dittatura e non è l'unica nei paesi africani martoriati dalle guerre e dagli autoritarismi), sogna «un document»(l'asilo politico ndr) che gli permetta di andare a Milano o a Roma, perchè è arrivato solo da pochi giorni ma ha già capito che in Sardegna non ci sono tante occasioni di lavoro. Poi Djitte ricorda un viaggio di sei mesi che dal Senegal lo ha portato prima in Libia e poi in Italia, in una traversata della speranza e della disperazione in cui tante volte ha avuto paura di morire «ma nel mio paese c'è troppa povertà e io ho là una moglie e due figli a cui pensare». Hanno rischiato la vita per trovarne una nuova: sono due dei 126 migranti arrivati ad Alghero, dopo l'eccezionale sbarco di altri 754 salvati da una nave mercantile tedesca che li ha portati sino a Cagliari [LEGGI] [GUARDA]. Poi la dislocazione tra i vari comuni che se ne sono fatti carico: chi più, chi meno impreparati ad accoglierli nonostante le parole "politically correct" degli amministratori regionali, il governatore Pigliaru in testa.

Ad Alghero il gruppo è arrivato all'alba di domenica, scalzi e con pochi indumenti addosso, i profughi (tutti uomini di cui tre minorenni) sono stati assistiti dall'associazione "The Others" che già si occupava dei migranti nella struttura di Zia Maria. Hanno avuto un pomeriggio e una notte per ripulire l'ex convitto di Santa Maria La Palma, dove ora sono ospitate 80 persone: hanno sistemato i materassi per terra, improvvisato un impianto elettrico e qualche doccia all'esterno, affittato dei bagni chimici (1250 euro a settimana) ma la struttura resta inagibile come certificato dalle autorità competenti. «Non si può lavorare in questo modo» si sfogano i dipendenti guardandosi attorno, e come dargli torto. Eppure, in sei (con due volontari), non si fermano da una settimana: ogni giorno ci sono i tre pasti da assicurare, i malati da curare, l'assistenza per i documenti, i trasferimenti negli uffici. Tutto per 32,18 euro a persona, ma 9 se ne vanno per il catering e 2,50 è la "paghetta" giornaliera che spetta a ciascun ospite. I pagamenti dal Ministero degli Interni arrivano in ritardo e centellinati: un mese viene corriposto ogni 60 o 90 giorni.

L'intervista viene interrotta da una telefonata sul cellulare del presidente Nilde Robotti: è la moglie di uno dei ragazzi, chiama da molto lontano e l'emozione di un attimo fa capire che tutto questo ha comunque un senso. Le giornate a Santa Maria La Palma passano lente tra i pasti, i riposi, i documenti da preparare. Qualche volta gli animi si infiammano perchè le differenze culturali e religiose si fanno sentire. Il gruppo è diviso tra una piccola parte di mussulmani e la quasi totalità di cattolici. Purtroppo la comunità cattolica locale si è vista e sentita ben poco nell'ultima settimana. L'unico sacerdote che si è presentato in borgata è padre Giacomo, il gesuita che ha fondato la Comunità Primavera. Pochissimi anche i politici che si sono resi disponibili (nonostante la presenza ossessiva nei social sull'argomento), e tra le oltre 100 associazioni in città, solo un paio si sono mobilitate, insieme agli scout di Porto Torres coordinati dal comandante della polizia locale di Alghero Guido Calzia. Nei prossimi giorni, forse ore, si saprà dove e quando il gruppo algherese si trasferirà [LEGGI]. Si parla anche di un privato che avrebbe offerto la propria tenuta nelle campagne di Palmadula. L'accoglienza da queste parti è sinonimo di incognita.




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