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Red 30 giugno 2019
Radici: prima visione al Sardinia film festival
«C’è un po’ di blues anche nella musica sarda», dichiara il regista Luigi Monardo Faccini. Ripercorso il viaggio mancato nell’Isola di Alan Lomax, l’uomo che salvò il blues afroamericano e la musica popolare italiana. Tra i protagonisti del documentario prodotto e distribuito dall’Istituto Luce-Cinecittà c’è anche il gruppo a tenores di Tonino Cau
Radici: prima visione al Sardinia film festival

VILLANOVA MONTELEONE. Non tutti lo sanno, ma forse senza Alan Lomax i Beatles ed i Rolling Stones non sarebbero mai esistiti. E sarebbe andata perduta gran parte della musica blues afroamericana con tutte le sonorità che di lì a poco avrebbero fatto nascere il rock and roll. A far luce sull’infaticabile lavoro di questo etnomusicologo americano, classe 1907 con antiche origini italiane, è il docufilm “Radici”, di Luigi Monardo Faccini, presentato in prima visione in Sardegna, a Villanova Monteleone, per la tappa del Sardinia film festival dedicata al documentario. Quello di Faccini è un docufilm intenso, nato da un’idea di Marina Piperno, prodotto e distribuito dall’Istituto Luce-Cinecittà, che permette di imboccare un percorso tra il presente ed il passato della musica popolare, attingendo da introvabili documenti d’archivio sonori e visivi.

Un po’ dello spirito del suo amato blues, Lomax lo aveva trovato anche in Italia, tra il 1953 ed il 1954, nel suo viaggio lungo la Penisola in compagnia di Diego Carpitella, noto collaboratore dell’antropologo Ernesto De Martino. I due studiosi, insieme riuscirono a cristallizzare gli ultimi echi della tradizione popolare italiana, registrando un numero impressionante di sonorità che, di lì a poco, l’industrializzazione incombente avrebbe forse spazzato via con la sua spinta verso il progresso. Solo un rimpianto: la Sardegna. Perché per mancanza di fondi, Lomax non riuscì a venire nell’Isola. «Avendo sentito le registrazioni di Giorgio Nataletti fatte nel 1951, lui aveva anche capito che nell’isola c’era il cuore dell’universo Mediterraneo – ha spiegato Faccini – Probabilmente, la riteneva una specie di boa sulla quale avevano fatto approdo tutti gli apporti del Medioriente, poi deviati verso il centro e il nord Europa. Voleva impadronirsi anche di queste radici».

Ma se Lomax non ci riuscì, Faccini, in qualche modo, ha colmato questo desiderio portando in Sardegna una parte del suo documentario. Questo percorso verso la terra dei tenores ha seguito le tracce del Coro di Neoneli, il gruppo guidato da Tonino Cau, che sul palco di Villanova Monteleone, davanti al numeroso pubblico del festival, ha presentato alcuni dei suoi brani più rappresentativi, accompagnato dalle launeddas di Orlando ed Eliseo Mascia. Nel documentario, si riscopre uno scrigno impressionante di espressività popolari, dalla tarantella di Monte Marano ai gruppi genovesi del trallallero, fino ai canti di lavoro veneziani ed i tenores sardi. «La mia idea di cercare le radici del rock and roll è nata da bambino, proprio grazie ai dischi in vinile di Lomax, lui aveva capito che la ritmica nativa era quella dei tam tam – ha affermato il regista –. Aveva capito che anche un’espressione polifonica contrappuntistica come il trallallero genovese ha corrispettivi in alcuni canti dei pigmei africani. E aveva anche scoperto che c’è un po’ di blues in tutta la musica popolare, nei canti di lavoro o di lamento e, in qualche modo, anche nel quattro/quarti utilizzato nel ballo a sulittu o dalle launeddas».

Nella foto: Luigi Monardo Faccini e Rachele Falchi
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