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Red 17 marzo 2010
«Federalismo, spazio ai Comuni»
Incontro curato dal Centro Studi Toniolo per i 150 anni dell´Unità d´Italia, con la presenza del professor Giovanni Lobrano dell´università di Sassari
«Federalismo, spazio ai Comuni»

ALGHERO - Uno Stato che volesse darsi un Ordinamento istituzionale di tipo federalista non potrà, né dovrà, prescindere dal riconoscimento del ruolo proprio dei Comuni, quali unità istituzionali di base in cui ogni comunità locale vive ed agisce da protagonista. Così la pensavano i maggiori propugnatori del Federalismo nel periodo del Risorgimento, quando – all’insegna dei valori della Libertà, della Uguaglianza e della Fraternità rivendicati dalle popolazioni d’Italia appena dopo la Rivoluzione Francese - si faceva strada la ipotesi di uno Stato Federale Italiano che radunasse il Regno delle Due Sicilie, lo Stato Pontificio, il Regno di Sardegna e gli altri minori.

L’idea di una Confederazione tra gli Stati pre-unitari, fortemente sostenuta da Pio IX, e in un primo momento condivisa dai Savoia e dai Borbone, sembrava essere la più facilmente praticabile per giungere all’Unità d’Italia senza rischi di spargimenti di sangue. Quel modello federalista rappresentava inoltre il sentimento, come bene ha spiegato il Prof. Vanni Lobrano nella sua dotta relazione, di esponenti di spicco della cultura italiana dell’800 i quali, pur appartenendo alle differenti correnti culturali (quella di matrice cattolica: Gioberti, Rosmini, Nicolò Tommaseo; quella laico-liberale: Carlo Cattaneo, allievo di Romagnosi e quella socialista: Giuseppe Ferrari, Giuseppe Montanelli e Carlo Pisacane), convenivano sulla centralità dei Municipi nel processo di riorganizzazione statuale quale fattore determinante per garantire livelli migliori di democrazia politica ed economica nonché stabilità sociale nel nostro Paese.

«Oggi, duole rilevarlo, il dibattito sul Federalismo ignora i Municipi mentre tende a privilegiare il ruolo delle Regioni, ma limitatamente ad una devoluzione di competenze in oneri sociali, quali scuola, sanità ecc., senza invece ampliare gli spazi di proposizione politico-programmatica. In un tale scenario, le Regioni - dal loro canto - finirebbero per accentuare i loro poteri a tutto discapito dei Comuni, manifestandosi accentratrici ancor più dello Stato centrale: è il rischio verso il quale oggi stiamo vertiginosamente correndo e che bisogna assolutamente scongiurare se non si vuole giungere ad un modello di Stato che, dopo circa due secoli, ritorni ad essere drammaticamente frammentato vanificando i sacrifici di vita e le lotte dei patriotti a cui dobbiamo l’unità di popolo che stiamo ancora pacificamente vivendo».

Foto d'archivio



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