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Pasquale Chessa 10 aprile 2012
Tuvixeddu «non luogo» che conquista
Il primato di un sito sardo nella classifica dei luoghi di eccezionale interesse culturale e paesistico visitati nella «Giornata Fai di Primavera». Ma quanti rischi per la più grande necropoli unica del Mediterraneo
Tuvixeddu «non luogo» che conquista

«Sempre foreste e foreste. Dev’essere monotono», fa dire Anton Checov a Sofia Andreevna parlando con aria sofistica di Astrov, entusiasta piantatore di alberi, in un passaggio cruciale del suo Zio Vania. La battuta viene buona alla mente leggendo i dati sul consumo del territorio in Italia, quando si scopre che la Sardegna, storicamente ultima nelle classifiche nazionale, è tragicamente prima nella distruzione del suo territorio per aver fatto registrare «un incremento di suolo urbanizzato» del 1154 per cento negli ultimi 60 anni. In pratica ci siamo mangiati tre ettari al giorno.

Non c’è bisogno di ricorrere ai padri fondatori dell’ambientalismo moderno, «dalla natura selvaggia dipende la salvezza del mondo», per capire la catastrofe in atto è molto più deprimente consultare l’Atlante nazionale delle aeree a rischio di desertificazione e scoprire che la Sardegna figura fra le aeree più sensibili alla «sterilità funzionale» di ampie zone del suo territorio. Sono note accorate queste, suscitate paradossalmente da una notizia di segno positivo, per quanto effimero, cioè il primato di un sito sardo nella classifica dei luoghi di eccezionale interesse culturale e paesistico visitati nella «Giornata Fai di Primavera». Primo Tuvixeddu con 10 mila visitatori.

Quanti rischi abbia corso la più grande necropoli punica del Mediterraneo fa parte della storia e della cronaca della distruzione del paesaggio culturale sardo del Novecento. Perché già all’inizio del secolo la sua conservazione fu messa a repentaglio dagli scavi, affatto archeologici, per estrare il calcare necessario al cementificio di Santa Gilla. Ancora i segni della distruzione delle antiche tombe fenice e romane si vive come una ferita per sempre irredimibile. E oggi, salvato per un nonnulla dalle violente e distruttive necessità dell’economia del mattone, corre il rischio di diventare un «non luogo» se dovesse perdere il suo profilo archeologico secondo il progetto di parco attrezzato con gradini e giadinetti alberi e alberelli, ingentilito come un aeroporto o piuttosto un ipermercato. La conservazione dei beni culturali, per la quale esiste un codice con le sue regole e i suoi principi da tutti condiviso, non è mai in contrasto con un uso economico delle risorse. Al contrario.

Nel suo ultimo libro appena uscito da Laterza, Il nuovo dell’Italia è nel passato, capace fin dal titolo di spiegare come la cultura possa essere una risorsa ambientale di alta gamma, il massimo archeologo italiano Andrea Carandini, racconta un’esperienza tanto virtuosa quanto ovvia, quasi banale. Durante la costruzione dell’Auditorium di Roma, dagli scavi saltò fuori un sito archeologico, «un unicum che illumina la stroia agraria dela prima età repubblicana». Secondo la cultura contrapposta dei modernisti e antichisti le soluzioni sarebbero state solo due: o bloccare i lavori per salvaguardare l’antico, e così Roma non avrebbe mai più avuto il suo auditorio, oppure proseguire nel progetto e Roma avrebbe perso un pezzo della sua storia. Fu trovata invece una terza via. Furono quindi chiamati in soccorso gli archeologi. Gi architetti adeguarano il progetto alle necessità degli scavi. L’archeologia adeguò i suoi tempi alle necessità dell’edilizia: «E ora la bellissima cittadella di Renzo Piano è più ricca, con la sua villa romana il suo museo». Banalità del bene!

La Sardegna, come ha detto a Giorgio Napolitano in privato Giulia Maria Crespi, è un giacimento culturale di valore universale che rischia di svanire nell’insipienza collettiva. Quella «selvaggeria» ancestrale che ha pesato negativamente su tutta la sua storia in pochi anni si è trasformata in una opportunità. Altro che «Sardegna colonia». C’è una nuovo verità con cui la politica e la cultura possono misurare il loro grado di responsabilità: la Sardegna è uno dei luoghi in cui il paesaggio rivela tutta la sua natura di bene culturale. Il colpo d’occhio sulla foresta di Gutturu Mannu o anche l’oliveto di Villa Massargia, S’Ortu Mannu, può provocare lo stesso stordimento intellettuale, il medesimo godimento romantico del Foro romano visto dall’alto del Campidoglio.

E allora, nonostante sia vissuta come una vecchia zia ormai ensortable sebbene sia pur sempre un Nobel, cade qui a puntino una citazione da Cosima (1937) di Grazia Deledda: «E da un castello di macigni sopra i quali volteggiavano i falchi che parevano attirati dal sole come farfalle notturne dalle lampade, vide una grande spada luccicante messa ai piedi di una scogliera come il segno che l’isola era stata tagliata dal continente e tale doveva restare per l’eternità. Era il mare che Cosima vedeva per la prima volta».

Nella foto: Tuvixeddu



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