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Enrico Muttoni 23 settembre 2015
L'opinione di Enrico Muttoni
A San Marco in Volkswagen
<i>A San Marco in Volkswagen</i>

Le recentissime vicende, ed i relativi guai, nei quali è incappata nientemeno che la Volkswagen, al di là della sorpresa, sono il risultato, a ben vedere, di una duplice ipocrisia. La prima, di carattere amministrativo-gestionale, è generata dalla mentalità corrente che vede il successo dei manager unicamente valutato dai risultati iscritti a bilancio. Questo tipo di cultura industriale è ormai accettato globalmente. E, come si vede, fa sì che le alte dirigenze di enti, banche, industrie e perfino dello Stato, pensino unicamente agli utili (e talora anche alle perdite) solo in funzione delle carriere; senza minimamente soffermarsi sulla vocazione (mission) dell’azienda. La quale dovrebbe sospingere la propria operatività gestionale verso un miglioramento continuo del servizio o dei beni forniti, del benessere degli addetti, dei clienti e, ben ultimi, degli azionisti. La società civile, l’azienda, ed i dipendenti dovrebbero sentirsi orgogliosi dell’appartenenza ad un simile sistema virtuoso. Come si può constatare, raramente accade.

La seconda ipocrisia, che deriva dalla prima, è quella ambientale e commerciale. Il guaio Volkswagen è il frutto di una lotta commerciale che vede acclamare, tra le mosse più importanti, la bontà del prodotto in materia di rispetto dell’ambiente. Col risultato non solo di accendere una sfida tra costruttori, ma anche di obbligare gli stessi a stabilire ed auto-imporre limiti di emissioni sempre più stringenti (Euro 3, 4, 5…) pur di far sentire l’utenza in colpa, e mettere in affanno la concorrenza. L’auto va cambiata periodicamente perché il dovere di ogni bravo cittadino è quello di inquinare il meno possibile.
Dovrebbe essere palese che ogni litro di carburante, versato nel serbatoio, ne uscirà sotto forma di prodotti di combustione. La cui composizione chimica, certo, ha la sua importanza. Ma evidenziando continuamente questa importanza, si perde di vista il problema della quantità.

Siamo arrivati al punto che, per muovere 70 chili di autista, si spostano contestualmente altri 2000 chili di SUV. Ai fini dell’inquinamento e del risparmio energetico dunque, la sfida tra i costruttori dovrebbe essere sul piano dei consumi assoluti. La logica commerciale vigente è, invece: grossi motori, veicoli pesanti, consumi che facciano credere agli autisti di risparmiare al massimo, e ai rifornitori diano la garanzia che gli incassi non si contrarranno. E, a tutti, la certezza che, essendo gli scarichi a norma, l’ambiente verrà rispettato. Risultato: la Volkswagen ha barato al gioco, e adesso vedremo come verrà riportato l’ordine nel saloon. Per chi scrive, il parallelismo tra l’”affaire” Volkswagen, e la storia del depuratore di Alghero, è evidente. Il pacchetto di politici e manager pubblici, che ha gestito la faccenda della depurazione, non ha mai avuto la “mission” di dare alla città un servizio moderno, efficiente ed ecologicamente corretto. Ha soltanto gestito le somme a disposizione al fine di soddisfare un’utenza ben diversa da quella dei cittadini.

Ed ha progettato, costruito e “commercializzato” un modello di depuratore in grado di consumare molto e di combinare grossissimi guai, ma con gli scarichi a norma. E tuttora, per rimediare ai suddetti guai, si vuol passare da Depur 3 , a Depur 4, Depur 5… dichiarando che è per il bene dell’ambiente e della cittadinanza. Ora, mentre un motore a combustione interna può, con la tecnologia, ridurre indefinitamente i consumi (a parità di potenza prodotta), il depuratore non può ridurre i quantitativi di liquame da lavorare, e dunque continuerà a far danno.
Questa guerra politico-ambientale, sostenuta da denaro pubblico, e combattuta su terreno altrui, ovvero nei conti correnti dei contribuenti, continua tuttora: e una volta che l’Amministratore Delegato di Volkswagen, e il Sindaco di Alghero, abbiano ammesso gli errori del passato, tutti si attendono le relative contromisure.
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