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Red 11 dicembre 2020
Estetisti, parrucchieri, barbieri: cresce il sommerso
«Occorre prendere provvedimenti contro il sommerso, fenomeno che indirettamente (ma non troppo) fa aumentare la pressione fiscale», dichiara il presidente della Confartigianato benessere Sud Sardegna Tonio Pani
Estetisti, parrucchieri, barbieri: cresce il sommerso

CAGLIARI - Il settore del benessere alla persona è stato uno dei più colpiti dal lockdown. Per questo, parrucchieri, estetisti, barbieri e onicotecnici sono state tra le professioni di cui i clienti hanno sentito più la mancanza durante i mesi più bui della chiusura del Paese e della Sardegna, nonché quelle prese maggiormente d’assalto al termine della serrata. “Graziate” dagli ultimi Dpcm, ora devono fare i conti con il sommerso che è tornato, rinvigorito, a fare concorrenza sleale. L’allarme lo lancia Confartigianato Sud Sardegna, con il presidente del Settore Benessere Tonio Pani. In questo periodo, infatti, nel settore del benessere e della cura della persona, sono ripresi a proliferare di irregolari che offrono “servizi itineranti e a domicilio” per il taglio dei capelli, manicure e trattamenti estetici. Dagli ultimi dati elaborati dall’Ufficio Studi di Confartigianato imprese Sardegna, su fonte Istat e Mef del 2019, i barbieri e i parrucchieri in Sardegna sono 2.447, con 5800 dipendenti; sul totale delle imprese, 2.179 sono artigiane (89percento), che danno lavoro a oltre 5.200 addetti. Un settore, il benessere, sempre sotto attacco degli irregolari; secondo un recente calcolo sempre di Confartigianato, si stima come nell’Isola il numero di questi lavoratori si aggiri intorno alle 1.400 unità, che “colpiscono” direttamente il 18percento delle imprese regolari.

«In questi mesi – afferma Pani - la grande maggioranza delle imprese del settore si è sacrificata fino in fondo, promuovendo e accettando un protocollo rigidissimo, per garantire la sua parte di sicurezza contro la pandemia e fornire al meglio (con il sorriso, nonostante la fatica) un servizio di qualità». Molte attività hanno dovuto fare i conti con misure che hanno ridotto sensibilmente il proprio volume d’affari e altre ancora hanno chiuso. La chiusura, come già è accaduto a marzo e a aprile, ha determinato un incremento di coloro che offrono prestazioni senza avere i requisiti necessari. Con la diffusione del passaparola, anche tramite i social, è sempre più facile imbattersi in “falsi professionisti“ che si propongono a prezzi contenuti, senza alcuna garanzia sul piano della
salute per gli utenti. Questi soggetti sono invisibili per lo Stato con tutto quel che ne consegue. «La piaga dell’abusivismo è in continua espansione nel settore dei servizi alla persona – continua il presidente - infatti è proprio nella concorrenza sleale e nel lavoro sommerso che vanno individuati i pericoli della diffusione del virus, vanificando lo sforzo collettivo di contenimento del contagio; ed è per questo, oltre che per la tutela del mercato, che chiediamo un’intensificazione dei controlli».

«L’Associazione – sottolinea Pani - è l’espressione della rappresentanza di parrucchieri, acconciatori, barbieri e poi estetisti, onicotecnici ed esperti della cura della persona e della bellezza da oltre 60 anni. Ed è da sempre aperta ad ascoltare le esigenze ed i bisogni di tutti gli associati che lavorano in totale trasparenza ed in regola». Il fenomeno del sommerso rappresenta, in Italia, una delle principali cause della formidabile pressione fiscale cui le imprese regolari sono sottoposte. Contemporaneamente (e, solo in apparenza, paradossalmente), la continua crescita del numero di imprese irregolari (abusive) è in parte alimentata dalla pesante pressione fiscale, che tende a espellere dall’economia “emersa” le imprese marginali, sulle quali fisco e burocrazia hanno un effetto talvolta letale. Si tratta di un meccanismo che, una volta avviato, si autoalimenta e solo attraverso complesse azioni congiunte, incentivanti e repressive, si può pensare di arginare. Al momento in Italia si stima che il valore economico del sommerso sfiori il 20percento del Pil totale e che, negli ultimi cinque anni, mentre i lavoratori “indipendenti irregolari” sono cresciuti del 2,2percento, quelli regolari sono diminuiti del 5,9percento.

«Bisogna dire che non esisterebbero i lavoratori abusivi se non ci fossero dei cittadini-consumatori interessati ai loro prodotti e servizi – commenta il segretario di Confartigianato Sud Sardegna Pier Paolo Spada - spesso convinti di risparmiare qualcosa sul conto finale e perciò disposti a soprassedere sulle garanzie legali sui beni acquistati o sui servizi ricevuti, che ovviamente in caso di necessità non potranno essere fatte valere, sulla sicurezza, visto che i lavoratori abusivi, non essendo soggetti ai controlli da parte delle autorità preposte, lavorano nella quasi totalità dei casi in condizioni di massima precarietà; e, dulcis in fundo disposti a farsi complici del fatto che l’economia generata da quell’operazione, sottratta alle imposizioni fiscali, aumenterà il peso di tutte le altre operazioni dell’economia emersa. E’ dunque opportuno e urgente che si prendano provvedimenti per creare una condizione di maggior favore per la nascita e lo sviluppo di imprese sane e per la permanenza sul mercato di tutte le imprese esistenti. Questo può avvenire solo attraverso la diminuzione del peso della fiscalità generale su imprese e lavoratori (senza fare il gioco delle tre carte dello spostamento dell’imposizione da un livello statale a quello locale) e intervenendo in maniera radicale e convinta sulla burocrazia soffocante che a ogni livello territoriale e gerarchico della macchina amministrativa sperpera risorse economiche e dilapida patrimoni di entusiasmo e voglia di fare intrapresa».

Da Pani, poi una critica-ragionamento sul fenomeno in espansione. «Le Istituzioni dovrebbero favorire il processo di regolarizzazione delle imprese del sommerso. E' vero che alcuni preferiscono lavorare senza il rispetto delle regole, ma è altrettanto vero che in tanti vorrebbero poter lavorare regolarmente, ma si fermano di fronte agli ostacoli dati da una burocrazia asfissiante che si aggiunge ad un peso fiscale che scoraggia anche le persone più motivate. Sarebbe utile pensare a una sorta di percorso agevolato per l’acquisizione delle abilità, anche gestionali, indispensabili per l’avvio di un’attività d’impresa».



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