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Guido Sari 10 aprile 2004
Colonialismo catalano? Solo esternazioni dettate dall’ignoranza
Guido Sari risponde all’articolo di Enrico Chessa: “Quel poco che culturalmente ci separa dal resto dell´Isola deve essere motivo di giusto orgoglio”
Colonialismo catalano? Solo esternazioni dettate dall’ignoranza

I cittadini di Alghero, almeno quelli in cui è vivo l´interesse per la propria cultura, sono abituati alle più varie esternazioni intorno al tema della catalanità, per cui difficilmente li si può sorprendere o stupire. Anche perché, essendo Alghero una comunità relativamente piccola, prima o poi vengono alla luce le motivazioni che stanno dietro alcune posizioni. E´ noto a tutti, ad esempio, come alcune esternazioni di più o meno marcato anticatalanismo nascano da aspettative frustrate, da risentimenti personali che ispirano sentimenti di vendetta variamente espressi. Certo ha buon gioco anche l´ignoranza, che a volte può essere tale da togliere qualsiasi forma di pudore all´esternatore di turno. Tuttavia che si tratti di risentimento o d´ignoranza il risultato è sempre lo stesso: l´utilizzo di pregiudizi e luoghi comuni a sostegno delle proprie tesi. Uno di questi, sicuramente il più logoro, è quello del "colonialismo catalano" in versione aggiornata, contemporanea. Sarebbe interessante sapere dai sostenitori di tale asserzione, per fortuna un gruppo ben esiguo, quali vantaggi economici potrebbe ricavare la Catalogna da una possibile colonizzazione di Alghero, e se credono possibile in un´Europa, che si spera delle nazioni più che degli stati, l´affermarsi di forme di colonialismo ed in che modo. O, se invece hanno in mente forme di colonialismo culturale fine a se stesso (il romanticismo non muore mai!), in che cosa concretamente si esplica.
Ci si era illusi che su simili argomentazioni, su certi pregiudizi non ci si sarebbe dovuti più ritornare, grazie a quella progressiva crescita culturale che a livello collettivo o individuale si dà per scontata e non si nega a nessuno. Invece l´articolo "Anomalie catalane e sardità algherese", firmato Enrico Chessa, dimostra quanto certi pregiudizi siano ancora vivi. Con abilità l´autore dell´articolo fa uso del pregiudizio del colonialismo per poi negarlo, presentandolo come possibile ipotesi che poi preferisce scartare, tuttavia resta il fatto che lo ha citato e che in contrapposizione ad esso ha formulato le argomentazioni successive. Ed in queste al pregiudizio, accantonato ma non abbandonato, subentra il conformismo di una via tutta sarda per assicurare la crescita culturale di Alghero, per evitare che altrimenti il suo destino culturale possa rimanere "legato solo ad influenze esterne". E come segnale manifesto del pericolo rappresentato da simili influenze esterne cita il fatto che una nostra cantante canti in catalano e che i bambini conoscano più "Joan petit quan balla" che brani della tradizione algherese. Non mi interessa confutare la posizione dell´articolista, rivedere le bucce di ciò che scrive, far notare che le sue osservazioni di carattere storico ricordano tanto la scoperta dell´acqua calda, né rilevare quanto la sua visione della tradizione sia imbalsamata. Quel che mi preme è evidenziare ciò che di negativo vi è in una posizione come questa, negativo nel senso che non consente una effettiva crescita culturale.
Credo che tutto nasca dalla perdita del senso dell´identità culturale. E questo è avvenuto perchè nessuno finora ha insegnato il senso dell´identità. Quest´ultima non nasce spontanea; in una situazione di progressiva perdita del suo elemento fondante, quale è la lingua, non sempre la famiglia e la comunità sono veicoli sufficienti ed idonei a trasmetterla. L´identità si potenzia, o si crea, con la conoscenza. Basti pensare al concetto di identità nazionale. Chi si potrebbe sentire culturalmente italiano se non fosse stato scolarizzato in italiano, non avesse studiato la storia, la letteratura italiana? Senza una conoscenza della nostra identità culturale, o meglio senza quella sensibilizzazione che nasce dalla conoscenza come è possibile che una comunità come la nostra, soggiogata da modelli culturali oggi più forti come l´italiano e il sardo, possa sentire il bisogno di tutelare la sua peculiare identità e non si lasci invece assimilare da questi, come già succede, in nome di un´appartenenza politico-geografica al medesimo territorio? Senza una opportuna conoscenza non riusciamo a vedere come quel poco che culturalmente ci separa dal resto dell´Isola possa essere motivo di giusto orgoglio da utilizzare per una crescita ad ampio campo, che comprenda oltre al versante culturale anche quello economico. Ecco allora che l´apertura, la voglia di un rinnovato legame con la Catalogna acquisisce quel significato che alcuni vorrebbero negargli: la possibilità per Alghero di vivere all´interno della Sardegna un suo ruolo da protagonista, quale ponte privilegiato che la leghi ad una delle nazioni più intraprendenti ed economicamente attive tra quelle che si affacciano nel Mediterraneo. Purtroppo la corrosione continua che la non conoscenza opera nel sentimento di identità può portare a ritenere valide argomentazioni come quelle dell´articolista, può portare all´assurdo dell´imbalsamazione della cultura locale (passo che precede di poco quello della tumulazione definitiva), precludendole ogni possibilità di crescita e di allargamento dei suoi orizzonti. Che un cantante algherese canti in catalano o che un bambino conosca "Joan petit quan balla" è una manifestazione di vitalità, di superamento di una visione angustamente folclorica o dialettale della nostra cultura, è una delle tante possibili vie per attuare un giusto recupero linguistico, per tornare ad essere da cultura morta cultura viva.



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