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Alguer.itnotizieitaliaOpinioniTasseRiforma del fisco, bilancio statale, evasione fiscale e debito pubblico
Carlo Mannoni 23 agosto 2023
L'opinione di Carlo Mannoni
Riforma del fisco, bilancio statale, evasione fiscale e debito pubblico
<i>Riforma del fisco, bilancio statale, evasione fiscale e debito pubblico</i>

Il governo ha avviato la riforma fiscale promettendo di ridurre la pressione tributaria, ma tutti sappiamo che tale possibilità potrà avere qualche speranza di successo solo se diminuirà il debito pubblico,verrà radicalmente contenuta l’evasione fiscale e tagliata la spesa pubblica. Sono traguardi assai ardui e, per comprenderlo, basta esaminare i dati del bilancio statale. Nel 2023 lo Stato ha previsto di incassare 636,921 miliardi, di cui 566,503 derivanti dai tributi, e di pagarne 892,604, con un deficit iniziale di 255,683 miliardi, che sale a 566,514 con la rata di 310,831 miliardi relativa ai prestiti in scadenza quest’anno. Il disavanzo di 566,514 miliardi è coperto dallo Stato con un prestito di pari importo, a seguito del quale il suo bilancio raggiunge i 1203,435 miliardi di entrate e relative spese; il 47% delle prime derivante dal prestito pubblico contratto nell'anno, il 34% delle seconde destinato alla restituzione del debito in scadenza. Una osservazione: come famiglia pubblica allargata riusciamo a contribuire con le nostre tasse a non più del 53% delle spese pubbliche. Significa che il nostro tenore di vita è ben più alto di come potremmo permettercelo e per garantircelo prendiamo in prestito annualmente ciò che ci occorre, in un percorso che appare irreversibile, col debito che paga debito.

Immaginiamo che cosa avremmo potuto fare, quest’anno, senza il debito di 310 miliardi. La cifra è eclatante, e lo è ancor più se la raffrontiamo con gli importanti e più che straordinari 191 miliardi del Pnrr, assai inferiori al debito che dobbiamo onorare nel solo 2023. Ma che c’entra tutto questo, si dirà, con l’evasione fiscale evocata dal titolo? C’entra, eccome, perché senza l’evasione fiscale dei soli anni di questo secolo, il debito di 2818 miliardi che ci sovrasta silente e che ci rende deboli davanti all’Europa avrebbe un importo ben ridotto rispetto all’attuale che, tradotto nel vecchio conio, sarebbe di quasi 5 milioni e mezzo di miliardi di lire. Anche se l’evasione è sempre esistita nella nostra storia come dimostrano, cito ad esempio, i 43,9 miliardi euro equivalenti evasi nel 1980, i 200 nell'anno 2000 e i 100 in media di questi ultimi anni. O, andando ancora più a ritroso, i dati fiscali del primo 900 col 50% circa del reddito nazionale che sfuggiva alla tassazione, o quelli del 1924, col numero dei contribuenti tassati, non lavoratori dipendenti, assai ridotto. Sfuggiva al fisco, quell'anno, il 25% dei notai, il 62% degli avvocati, il 47% dei medici, l'82% degli ingegneri, il 74% dei geometri, il 48% dei veterinari ed il 95% dei ragionieri e dottori commerciali. Fu anche scarso, nello stesso anno, il contributo dato al fisco dagli imprenditori individuali (3.740 lire di reddito medio in lire correnti), dai professionisti (3.171 lire) rispetto agli impiegati statali con un reddito medio di 9.258 lire.

Il male viene dunque da lontano, e l’evasione fiscale e il debito pubblico sono andati di pari passo nella nostra storia. L’Italia unitaria è nata, nel 1860, con un debito di un miliardo e mezzo di lire correnti, cinque volte circa le entrate di allora, accumulato dai diversi Stati al momento dell'unificazione oltre a quello contratto subito dopo. Dopo 163 anni il debito pubblico italiano è sempre pari quasi a cinque volte le entrate ordinarie statali annuali, ma, data l’accresciuta ricchezza del paese, oggi il dato è molto più preoccupante mentre l’evasione fiscale è lungi dall’essere sconfitta. Un recente approfondimento sul tema, riferito al periodo 2010-2018, ha messo in evidenza che mentre il lavoro dipendente (compreso quello da pensione) ha inciso nel 2010 sul gettito Irpef per il 77,5% e il reddito da lavoro indipendente (autonomo, impresa e partecipazione) per il 18,4%, nel 2018 l’incidenza del primo è salita all’82,1% e quella del secondo è scesa al 14,5%. Nel 2021 l’evasione fiscale nel lavoro dipendente (parlo di quello irregolare e occulto) è stata del 2,8% mentre nel lavoro autonomo e di impresa del 68%. Ciò che emerge dalla storia fiscale dell’Italia è che, oggi come allora, è il lavoro dipendente a pagare le imposte anche per gli altri.

Il governo e la Meloni hanno promesso di ridurre la pressione fiscale con l’estensione della flax tax, la tassa piatta già in vigore per categorie di lavoro autonomo e di impresa, a una estesa platea di contribuenti, nonché dal prossimo anno la riduzione a regime del cuneo fiscale sul lavoro dipendente (13,5 milioni di buste paga sotto i 35.000 euro di reddito lordo). Sarà un’impresa quasi impossibile col bilancio statale attuale e il tenore delle sue spese, l’altissimo debito pubblico e l’evasione fiscale in atto. Ne avremo la prova in autunno con la predisposizione del bilancio statale e tra due anni quando la riforma fiscale verrà attuata. Intanto ogni 100 euro di carburante pagati al distributore di benzina ben 56 vanno allo Stato sotto forma di accise che la stessa Meloni, in campagna elettorale, aveva promesso di abolire. Il gettito di tale tributo è di circa 25-26 miliardi annui, il 4,6% del totale delle entrate fiscali. Non sarà facile per il governo rinunciarvi e mantenere le promesse elettorali, mentre la Ue annuncia per il prossimo anno il ripristino del “patto di stabilità” per ridurre l’indebitamento degli stati meno virtuosi come l’Italia.
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