Luigi Lotto
11 febbraio 2014
L'opinione di Luigi Lotto
Diritto all´ascolto: è la nuova democrazia
«Diritto all'ascolto»: ecco il tema che forse più mi sta a cuore, su cui penso di aver fondato le tante ragioni che mi hanno spinto verso l'impegno politico, dai tempi del Pci fino al Pd di oggi. Anche se si tratta di un tema che difficilmente può trovare posto nell'agenda di una campagna elettorale, perché non può essere ridotto a uno slogan, sintetizzato in una promessa, agitato come un vessillo, rappresenta il nodo centrale in quel groviglio di rapporti che legano la politica alla cittadinanza. Sono infatti convinto che fra le tante ragioni dell'antipolitica ci sia proprio il mancato «diritto all'ascolto». Un diritto speciale, ancora da disegnare nelle sue più complesse implicazioni, che rientra nel capitolo dei nuovi diritti fondato su quella regola che Stefano Rodotà ha riassunto nella formula ideale che li comprende tutti: «Il diritto di avere diritti».
Una regola che la politica ha dimenticato rappresentando se stessa come portatrice di interessi del territorio, vedi la Lega e i vari indipendentismi, oppure come portatrice degli interessi ideologici di un blocco sociale che non vuole saperne del bene comune, vedi Forza Italia e il pseudo liberalismo di Berlusconi. La vera rivoluzione sta in parole semplici come «eguaglianza» «equità» «partecipazione», si proprio come diceva la canzone di Giorgio Gaber…
Se è vero che le politiche pubbliche devono ricercare una trasformazione degli interessi, seppur legittimi, nella direzione di una responsabilità collettiva e una dimensione pubblica dei problemi, sempre più spesso i risultati delle politiche praticate vengono contrastati dalla lontananza tra i cittadini e le amministrazioni, che si tramuta sempre più di frequente in aperto dissenso. Quando una comunità percepisce un progetto d’interesse generale come una minaccia per i propri interessi o per la propria identità il dissenso cresce, si organizza e crea mobilitazione. È la cosiddetta «sindrome Nimby» acronimo che sta per Not In My Back Yard cioè «non nel mio giardino». Gli esempi sono numerosi, ma difficilmente ci si chiede perché una comunità dovrebbe assumersi svantaggi e vincoli a vantaggio dell’intera collettività.
In questo quadro il «diritto all'ascolto» diventa il perno centrale che consente la partecipazione della gente alla politica, non solo quando viene chiamata a votare, ma anche quando si decide su che cosa bisogna votare. Per esempio è il modello delle primarie inglesi che coinvolgono, prima di arrivare alla scelta, sindacati e associazioni, gruppi di cittadini organizzati… Il sondaggio partecipativo, sebbene molto costoso e difficile da realizzare, in Italia se ne è occupato il sociologo dei numeri Renato Mannheimer, si fonda sull'idea che se la democrazia regola bene il sistema di voto, non è stata capace di elaborare un sistema che rappresenti democraticamente i modi e le garanzie con cui si forma l'opinione pubblica. Ecco una proposta concreta: elezioni primarie in cui prima di votare si discute, in cui le opinioni non si contano solo come voti ma si pesano come idee, ridarebbe alla politica come io la intendo una nuova forza rivoluzionaria.
È importante per la sinistra riconoscere che la partecipazione dei cittadini migliora la qualità delle politiche pubbliche. Ho presentato una proposta di legge nella scorsa legislatura, che mi propongo di ripresentare se gli elettori mi vorranno rinnovare la fiducia per altri 5 anni, per favorire un’ampia sperimentazione sul campo di processi partecipativi che coinvolgano i singoli cittadini, le imprese, il terzo settore in ogni decisione di rilievo che li riguardi, in campo ambientale, economico, urbanistico, sociale, sanitario, e dei servizi pubblici.
Rischio di essere banale: bisogna che la politica sappia cosa pensa la gente prima di proporre una legge o di imporre una scelta… I processi partecipativi possono essere proposti da gruppi di cittadini organizzati, che hanno il dovere civico di prendere parte ad essi. Gli organismi rappresentativi dei cittadini, il più ampio sistema delle imprese e delle associazioni, assumono il dovere di promuovere e prendere parte attiva ai processi decisionali che coinvolgano i cittadini, adottando le misure necessarie per favorire la massima partecipazione alle costruzione delle scelte. Le istituzioni coinvolte, a loro volta, devono porre in essere le migliori forme di coordinamento per la realizzazione degli interventi e farle diventare prassi organizzative consolidate. Non si tratta di allungare i tempi delle decisioni. Ma di processi che le accelerano nel momento in cui le opinioni si trasformano in proposte condivise. In tal modo, la Sardegna potrà eguagliare le realtà più avanzate e innovative del Paese, in termini di stimolo alla partecipazione dei cittadini alle decisioni pubbliche e di costruzione dei processi attraverso i quali la partecipazione si concretizza, facendo crescere il grado d’informazione e di consapevolezza dei cittadini.
*Consigliere regionale, candidato del Partito Democratico
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