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S.A. 29 settembre 2015
Da Alghero a Ittiri: incubo flop per olivicoltori
Olivicoltura nel nord Sardegna: si profila ancora un´annata sotto le aspettative. Attenzione alle frodi e al falso made in Italy
Da Alghero a Ittiri: incubo flop per olivicoltori

ALGHERO - Un'annata difficile per gli olivicoltori del nord Sardegna. «Le prime stime sul nuovo raccolto non corrispondono alle aspettative»: lo sostiene l'olivicoltore di Ittiri Salvatore Sanna nell'abbozzare una previsione sulla raccolta delle olive. «L'annata dell'anno scorso alla fine è stata salvata, grazie alle piogge seppure tardive. Per quest'anno ci aspettavamo un raccolto abbondante dopo quello medio dello scorso anno, invece la produzione è a macchia di leopardo, nonostante una fioritura abbondante e uno scarso ricorso ai trattamenti per via del caldo che ha limitato il proliferare della mosca olearia. Speriamo di essere smentiti in questa ultima parte di stagione».

«Lo scorso anno abbiamo rimediato in extremis – spiega Gavino Fois di Alghero - le temperature miti e umide d'estate avevano favorito il diffondersi della mosca, mentre la prolungata siccità autunnale aveva rallentato la maturazione. Alla fine abbiamo recuperato grazie alle piogge e con il prezzo, lievitato per la scarsa produzione sopratutto a livello nazionale crollata del 35 per cento. Per quest'anno (incrociando le dita e aspettando la pioggia) si preannuncia un prodotto vivace». In Sardegna si producono 10mila tonnellate di olio, da un superficie di 39mila ettari di oliveti, il 43,5% dei quali si trovano nelle province di Sassari e Nuoro, il 31,5% in quelle di Cagliari e Oristano e il 25% nel resto dell'isola. Le aziende produttrici, secondo i dati Coldiretti, sono 34mila, di cui la meta' lavora su terreni di estensione inferiore ai due ettari. Solo il 13% possiede uliveti di oltre 10 ettari.

Quella dello scorso anno fu un annata pessima anche a livello mondiale con perdite, secondo la Oil World, attorno al 17%, per effetto del dimezzamento dei raccolti in Spagna, che conservò comunque il primato mondiale, con l'Italia, al secondo posto, nonostante una riduzione stimata del 35%. Calo di produzione che preoccupa non poco i vertici della Federazione provinciale di Coldiretti Sassari perché oltre al danno immediato dei minori introiti, per i produttori si paventa il pericolo dell'olio di oliva importato dall'estero che proprio nel 2015 ha toccato il record storico in Italia.

«L'invasione di olio straniero è stato favorito dal calo produttivo di oltre il 35 per cento registrato per i raccolti nazionali con una produzione che è scesa nel 2014 sotto le 300 mila tonnellate realizzate rispetto alle 464 mila della scorsa campagna – sottolinea il presidente di Coldiretti Sassari Battista Cualbu – . Il rischio è che venga spacciato come italiano quello straniero nonostante l’esistenza di una rigorosa cornice normativa definita con la legge 9 del 2013 fortemente sollecitata dalla Coldiretti che ha introdotto importanti misure per la trasparenza nel settore».

«Occorre denunciare - precisa il direttore di Coldiretti Sassari Francesco Ciarrocchi - una diffusa disapplicazione delle norme previste a partire dal mancato controllo di regimi di importazione che non consente di verificare la qualità merceologica dei prodotti in entrata. Questo determina, ad esempio, che l’olio d’oliva viene spacciato per l’olio extravergine d’oliva e l’olio di sansa passa per olio d’oliva. Sotto accusa - sostiene il presidente - è la mancanza di trasparenza, nonostante sia obbligatorio indicarla per legge in etichetta dal primo luglio 2009, in base al Regolamento comunitario n.182 del 6 marzo 2009. Sulle bottiglie di extravergine ottenute da olive straniere in vendita nei supermercati è quasi impossibile, nella stragrande maggioranza dei casi, leggere le scritte “miscele di oli di oliva comunitari”, “miscele di oli di oliva non comunitari” o “miscele di oli di oliva comunitari e non comunitari” obbligatorie per legge nelle etichette dell’olio di oliva. La scritta è riportata in caratteri molto piccoli, posti dietro la bottiglia e, in molti casi, in una posizione sull’etichetta che la rende difficilmente visibile».
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