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Carlo Mannoni 10 novembre 2021
L'opinione di Carlo Mannoni
Le concessioni marittime tra la Regione e Comuni
<i>Le concessioni marittime tra la Regione e Comuni</i>

Potremmo definirla una storia in parte sarda anche se la sua origine è tutta italiana e non potrebbe essere altrimenti per la nostra indole a rimandare, differire, procrastinare quanto più è possibile ciò che dovrebbe essere fatto nell’immediatezza. La storia è questa. La direttiva del Parlamento europeo 2006/123/CE del 12 dicembre 2006 sul mercato interno, aveva disposto che alle concessioni demaniali marittime per attività turistico ricreative si dovesse proceder d’ora in poi mediante gara pubblica. La norma è chiamata in gergo tecnico “self-executing”, nel senso che è immediatamente applicabile, nell’ordinamento italiano, sia dal giudice deputato che dalla pubblica amministrazione (Stato, Regioni e Comuni) senza necessità di una legge nazionale applicativa.

La vicenda è stata invece connotata dai continui rinvii e dilazioni sino ai giorni nostri perché tutto restasse immutato, con un giro d‘affari generato dalle concessioni valutato in quindici miliardi di euro all’anno e introiti dai canoni per gli enti pubblici preposti di appena cento milioni. Si è così arrivati, da ultimo, alla legge 17 luglio 2020, n. 77 che, con una decisione degna delle nostre maschere nazionali come Arlecchino e Pulcinella, ha prorogato le concessioni demaniali in corso sino al 2033, facendo finta di adeguarsi alla direttiva europea ma procrastinando di fatto sine die le concessioni in essere, molte delle quali risalenti ad anni lontani del secolo scorso. Si è inoltre proceduto a disporre ulteriori concessioni demaniali marittime senza una preventiva gara. La storia italiana termina con la decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 20 ottobre 2021 (pubblicata il 9 novembre scorso) che, facendo chiarezza sulla controversa questione, ha dichiarato immediatamente applicabile nell’ordinamento italiano la direttiva comunitaria 2006/123/CE del 12 dicembre 2006 e, per consentire l’effettuazione delle gare, ha stabilito la scadenza delle concessioni demaniali marittime in essere al 31 dicembre 2023.

La storia sarda è quella che ha contrapposto sulla materia alcuni comuni, Olbia e Quartu Sant’Elena in testa (quindi di centrodestra e centrosinistra), e la Regione. I sindaci di quei comuni ritenevano giustamente, come il Consiglio di Stato ha da alcuni giorni sentenziato, che le concessioni demaniali marittime ai fini turistici fossero decadute e non potessero essere prorogate, mentre la Regione sosteneva il contrario, facendo forza, come i concessionari balneari, sulla proroga al 2033 disposta con la legge n. 77 del 2020.

Il nodo gordiano è stato reciso dalla stessa Regione, in un rigurgito centralista, con una legge di quest’anno che, revocando ai comuni la competenza loro delegata dalla Regione nel 2006 sul demanio marittimo, ha avocato a sé d’autorità la relativa competenza provvedendo a disporre la proroga di tutte le concessioni scadute e a rilasciarne altre senza confronto concorrenziale, come anche ad Alghero per la scogliera di Calabona e a Santa Teresa Gallura per la spiaggia “La Rena Bianca”, di cui le comunità locali, espropriate, hanno avuto conoscenza solo a fatto concluso. Il detto “lontano dagli occhi, lontano dal cuore” ha funzionato e a Cagliari, politici e dirigenti non hanno avuto dubbi sulle concessioni disposte o prorogate senza gara. Ora che si dovrà procedere alle gare, non mi stupirei però che la Regione rispedisse indietro ai comuni tutti gli incartamenti. A Cagliari, a Villa Devoto, si accentra e si decentra in base alle convenienze politiche del momento ed è in questo che la storia italiana si è colorata anche un po’ di sardo.
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