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9 febbraio 2023
Fidapa: l´omaggio a Brugna, Cervai e Sotgiu
Dall’esilio e la sosta nei campi profughi all’arrivo a Fertilia. La Fidapa BPW Italy di Alghero, nel “Giorno del Ricordo”, celebra la ricorrenza con la memoria del vissuto di Marisa Brugna e Fulvia Cervai esuli istriane e Lidia Sotgiu, esule fiumana

ALGHERO - La Fidapa BPW Italy di Alghero, nel “Giorno del Ricordo” del 10 febbraio, in ossequio alle tre Socie, Marisa Brugna e Fulvia Cervai, esuli istriane e Lidia Sotgiu, esule fiumana, celebra la ricorrenza con la memoria del loro vissuto: dalle sofferenze dell’esilio e la sosta nei campi profughi sino all’arrivo ad Alghero-Fertilia. Per anni, si è negata questa storia che sarà ricordata solo nel 2005, dedicando una giornata alla memoria dei quasi 20.000 italiani torturati, uccisi e gettati nelle foibe e delle quasi 350.000 persone costrette all’esilio. Marisa Brugna, insegnante in pensione, tiene vivo, da anni, il ricordo per far conoscere la verità e ottenere giustizia, con conferenze, collaborazioni con associazioni e artisti e incontri con gli studenti di ogni ordine e grado per non dimenticare il sacrificio degli esuli. Nel suo libro autobiografico “Memoria negata”, ribadisce che: “.. per oltre mezzo secolo si è cercato di ibernare la nostra storia, un gelo che ha amareggiato la vita dei nostri vecchi e li ha relegati in un mutismo indignato e dignitoso. Ad un popolo che aveva perso tutto, fu negata l’unica cosa rimasta: la memoria”. L’esodo da Orsera è fortemente radicato nella storia di Fulvia Cervai che parte a 4 anni, il 27 agosto del 1948 e di Marisa Brugna che abbandona la sua terra, a 6 anni, nel 1949; entrambe con le loro famiglie, via mare, raggiungono Trieste, dove trovano ricovero nel Silos (centro di assistenza e smistamento), un antico granaio adibito alla prima accoglienza, strapieno di esuli, laddove aveva soggiornato, nel 1945, anche lidia Sotgiu, di solo un anno, con la mamma e le sorelle. Il sogno di tutte le famiglie è raggiungere al più presto un luogo dove possano fermarsi; si contano 106 Campi di accoglienza profughi, vecchie prigioni o scuole, adattate ad accogliere le famiglie degli esuli.
Fulvia Cervai con la famiglia, la nonna e uno zio, arriva a Laterina, in provincia di Arezzo, e vive in una baracca abitata da 30 persone, separate dalle coperte che pendevano dal soffitto. Quattro mesi di sofferenza. Ricorda il freddo, la mancanza di abiti adatti, la fame e un cibo consistente in una brodaglia immangiabile che davano ai contadini dei campi vicini in cambio di castagne, l’unica alimentazione per lei e la famiglia. Quando mio padre riceve la lettera da Don Francesco Dapiran, parroco di Fertilia, che gli chiede di raggiungerlo perché avrebbe trovato lavoro. Si imbarcano a Civitavecchia: “Arrivati in treno, di notte, a Sassari, avevamo fame e freddo perché c’era la neve. Dopo tante ore, un camion dell’aereonautica ci sbarcò al ponte di Fertilia e ci accolsero nelle scuole elementari”. Mio padre disse: c’è il mare e siamo arrivati a casa”. Nel 1949, costruirono le case di via Pola dove abitammo. Mio padre fece diversi lavori e diresse l’ufficio postale di Fertilia”.
Marisa Brugna alloggia, con la sua famiglia, dapprima a Latina e poi nel Campo Raccolta Profughi (CPR) di Marina di Carrara. Nel suo libro, fornisce una dettagliata ricostruzione del CRP: un reticolato largo e lungo, con filo spinato, cingeva quattro edifici, presidiati da due poliziotti nella guardiola dopo il cancello. Il campo sarà l’indirizzo della sua abitazione e la sua nuova casa per oltre 10 anni. “Angusti locali furono assegnati alle famiglie, senza i servizi essenziali; si trattava di cameroni in cui i singoli e le famiglie cercavano di ricavare degli spazi riservati con l’aiuto di coperte, cartoni o altro materiale precario, per avere un minimo di intimità. Inizialmente stavo bene, giocavo con altri bambini del campo, poi presi confidenza con la morte: i vecchi si lasciavano morire di crepacuore. Poi la tubercolosi fece una strage, anche di giovanissimi”. Marisa, essendo molto gracile, a 10 anni, viene mandata al preventorio antitubercolare di Sappada, a 8 km dall’Austria, dove rimane oltre un anno, un’esperienza terribile perché odiata dalla Direttrice “…che prediligeva alcuni bambini e scaricava il suo sadismo su di me perché ero profuga, ma molto brava nello studio e amica della maestra. Mi chiudeva nel pollaio con il piatto e nella neve mi faceva segare la legna; mi ferii, ma non fui curata”. Si sente abbandonata anche dalla famiglia che non rispondeva alle sue lettere di aiuto che venivano strappate dalla direttrice. La violenza psicologica la porta all’anoressia. Tornata nel Campo, vuole continuare a studiare, ma, essendo povera, non può permetterselo. Marisa prende coscienza del diritto che le viene negato ed ha il coraggio di recarsi dalla maestra, che preparava all’esame di ammissione una sua amica, e le chiede aiuto. Viene promossa con risultati eccellenti; in seguito, completerà i suoi studi con borse di studio, diplomandosi alle Magistrali. Il Padre che, in tanti anni, aveva cercato un lavoro stabile, deciderà nel 1959 di trasferirsi a Fertilia, laddove, grazie alla riforma agraria e alla nascita dell’ETFAS, che assegnava ai contadini le terre espropriate perché incolte, ottiene la terra a Maristella, rivitalizzandone l’agricoltura con tanta fatica e ottimi risultati.
Lidia Sotgiu, nata a Fiume da genitori algheresi, maestra in pensione, ha tenuto vivo, per tanti anni, nella scuola, il ricordo dell’esilio e delle foibe: “Mio padre, non era un criminale di guerra, ma un servitore dello stato. Maresciallo Maggiore della Guardia di Finanza della caserma Marchi di Fiume, il 3 maggio del 1945 fu convocato dal suo comandante e, qualche ora dopo, la città fu occupata dai partigiani titini. Tutti i militari furono imprigionati. Mia madre riuscì ad entrare in caserma grazie a Mimitza, la nostra governante, e potè scambiare qualche parola con mio padre che le consigliò di fuggire immediatamente con le figlie”. Mimitza ci fu di grande aiuto: accompagnò verso il confine italo-slavo mio padre che la pregò di consegnare il suo anello nuziale e il portafoglio a Mamma e si adoperò perché potessimo raggiungere Trieste”. Dal Silos, quattro mesi di continui spostamenti per la famiglia di Lidia: mamma e le sue sorelle di 11, 10 e 8 anni; si muovevano sui camion americani o treni adibiti al trasporto degli animali, sostando alcuni giorni nei CRP, fra cui Roma dove vengono ricoverate in ospedale le sorelle malate. Infine, Napoli, grazie all’interessamento di un parente. Dopo un anno, arrivano ad Alghero e alloggiano nella casa della Nonna. “Mia madre non smise mai di ricercare la verità circa mio padre che, dopo tanti anni, fu dichiarato disperso”. Nel 1983, comparve il suo nome nella lista delle vittime delle foibe nel mensile “Storia illustrata” e, ulteriore conferma, si ebbe dal Comando della Guardia di Finanza”. Ho ricevuto, nel 2006, la medaglia al valore militare dal Presidente Ciampi”. Il Comune di Alghero ha dedicato alla memoria del Maresciallo Francesco Sotgiu, la piazzetta adiacente la torre di Porta Terra.
Nella foto: Egea Haffner “la bambina con la valigia” emblema dell’esodo giuliano-dalmata
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