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Antonio Burruni 29 luglio 2008
L’amico Magico: La guida felliniana di Gianfranco Angelucci
Il regista anconetano è anche l’ideatore dello spettacolo che ha portato sui palcoscenici della Sardegna l’arte recitativa di Milena Vukotic e la delicata classe della pianista Angela Annese
L’amico Magico: La guida felliniana di Gianfranco Angelucci

ALGHERO - «Noi apparteniamo ad una famiglia, che è quella dei felliniani, ci conosciamo da molto tempo, c’è molta intesa fra noi». Risponde così Gianfranco Angelucci, il regista de “L’amico magico”, quando gli si chiede che rapporto ci sia tra regista, attrice e musicista, quando il livello dei professionisti è così alto.

«Certo – prosegue – con due grandissime professioniste come sono loro, il mio ruolo è un ruolo molto facilitato, perché Milena è un’attrice da palcoscenico, da set, un’attrice televisiva, quindi ha un tale dominio, proprio della sua arte e dello spazio che occupa, che è emozionante già per me solo assistere alle prove. Angela, è una concertista di grandissima esperienza, con una forma quasi di empatia con Nino Rota. Cioè, vive Nino Rota come se appartenesse ai suoi spazi più reconditi, quindi per lei riportare su un piano queste partiture, fra l’altro estremamente originali e varie, che sono la partitura pianistica di Rota è proprio come raccontare l’anima musicale di Federico. Quindi lo spettacolo, che in apparenza si pone come uno spettacolo sofisticato, è uno spettacolo di grandissima popolarità, perché la musica è dolcissima, la musica di Nino Rota è trascinante, le parole di Federico, tutti sanno come Fellini fosse “fiorito” nel parlare, capace di incantare, lui stesso, i serpenti. Milena re riporta lo spirito, l’anima, l’ironia, la profondità, con la maestria che le è propria, quindi credo sia uno spettacolo (mi dispiace fare l’imbonitore dello spettacolo in se stesso), però credo che abbia delle chanches per arrivare al cuore di tutti, giovani, non giovani, quelli che ricordano Fellini e quelli che lo scoprono con questo spettacolo».

In uno spettacolo di questo tipo, il regista guida la magia o la lascia scivolare così com’è?
«In questo caso, veramente bisognerebbe dire che la regia esterna, insomma, la regia protettiva, è quella di Federico, non soltanto perché io ho passato la mia vita accanto a lui, ma perché questo spettacolo non è drammaturgia nel senso di composizione di un “plot” che si evolve durante il suo andare. Questo spettacolo è veramente il tentativo di amalgamare due voci: la “voce della musica” e quella del “Fellini-pensiero”, insomma, la filosofia di un artista. Come mettere insieme questi due aspetti? Per chi, immaginiamo, non so, per i ragazzi che magari conoscono meno la cinematografia di Fellini. Come fare in modo che quest’anima diventi unica? Il rapporto spaziale, scenico, luministico con lo spettacolo è stato proprio quello di ricondurre l’emozione di chi guarda a quello che avviene tra Federico e Rota. Federico e Rota, veramente si sedevano al piano insieme. Uno strimpellava (se posso permettermi un titolo di questo genere su uno dei più grandi musicisti del Novecento), è l’altro gli suggeriva a parole qual’era il sentimento. Sai che Fellini sosteneva che quando finiva il film e lo proiettava per Rota, perché lui facesse la colonna sonora, Rota si addormentava. Lo sosteneva Federico, che era portato un po’ ad immaginare le cose ed anche ad esagerarle (ma io reputo che fosse vero). Il rapporto che aveva Nino Rota con la pellicola, nelle parole di Fellini, era un rapporto assolutamente di empatia, cioè entrava nelle pellicole, raccontava in musica le emozioni di Fellini. Oggi, per chi conosce Federico, sa on estrema sicurezza che se tu entri in una sala ad occhi chiusi e senti due note di Nino Rota, dici Fellini. Ed il contrario, cioè, come se fossero proprio disunibili, indissociabili. Poi, nel ’79, questo loro incontro si è spezzato, è venuto meno Nino Rota con questo film che è stato simbolico dei tempi che avremmo affrontato, “Prova d’orchestra”, che era tutto il disordine con cui avremmo dovuto confrontarci nei decenni futuri. E non è che il cinema di Fellini sia diminuito come intensità, è diminuito come magia, è diminuito perché mancava quest’anima incredibilmente esuberante che dava la connotazione di colore al suo cinema. Ecco, io credo che lo spettacolo, in qualche maniera, abbia avuto veramente il merito di ricomporre questa grave dicotomia, questa scissione che c’è stata».

Nella foto: Il regista Gianfranco Angelucci (Foto di Roberto Gabrielli)



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