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red 14 dicembre 2004
Aprile per la Sinistra, meno tasse vuol dire meno servizi
Meno prosaicamente, diminuire le entrate fiscali significa, infatti, decurtare i servizi pubblici, e, quindi, produrre disaffezione e reazioni antistatali e antigovernative
Aprile per la Sinistra, meno tasse vuol dire meno servizi

ALGHERO - il Circolo "Aprile per la sinistra"di alghero, per mezzo di una nota stampa, inviano una riflessione compiuta in questi giorni in merito alla spinosa questione della riduzione delle tasse. A tal proposito sostengono inoltre che le idee sono frutto di un lavoro collettivo e devono essere trasmesse in modo umile e con spirito laico.
«La crociata anti-tasse, che proprio in questi giorni trova una nuova ed elettoralistica offensiva mediatica da parte del Premier Berlusconi, si caratterizza, come scrive Laura Pennacchi nel saggio edito da Donzelli “L’uguaglianza e le tasse”, essenzialmente per due generi di questioni: la prima ha a che fare con l’idea che la semplice diminuzione delle tasse favorisca lo sviluppo economico; la seconda, di natura più filosofica, lascia intendere che meno imposizione significhi più libertà per il singolo individuo. Nessuna delle due argomentazioni reggono – nell’analisi serrata della studiosa – alla prova di serie verifiche empiriche. Tralasciando il fatto che questa finanziaria operi effettivamente un taglio delle tasse, cosa, per altro, ritenuta non vera da numerosi studiosi (vedasi, per tutti, il sito Lavoce.info), dove, al contrario, si contabilizza un aggravio complessivo del prelievo sui cittadini di oltre 4 miliardi di euro, si vuole qui evidenziare la radicalizzazione anti-statale che questa visione – a nostro avviso pericolosamente – sottende. Lungi dall’alimentare realmente la crescita economica e la libertà individuale, il vero obiettivo della crociata anti-tasse è ciò che Ronald Regan – del quale Bush e Berlusconi si sono dichiarati apertamente seguaci – ha chiamato starving the beast (affamare la bestia, e la bestia è proprio lo Stato). Pare, infatti, che produrre deficit, sconfessando l’antico amore per il pareggio di bilancio, sia diventato un disegno intenzionale delle due destre al potere, proprio perché obbliga a severi tagli alla spesa: in Italia depotenziando e dequalificando l’istruzione e la sanità pubblica, l’Università, la ricerca scientifica e tecnologica, abbandonando a sé stessi la pubblica amministrazione e gli enti locali; in Usa facendo deperire grandi programmi sociali per le classi medie e ceti meno abbienti come Medicare, Social Security e le indennità di disoccupazione. Meno prosaicamente, diminuire le entrate fiscali significa, infatti, decurtare i servizi pubblici, e, quindi, produrre disaffezione e reazioni antistatali e antigovernative. Ciò che si vuole in concreto, non è lavorare per migliorare l’efficienza della macchina statale, intervenendo anche su sprechi e ritardi che permangono nei meccanismi della burocrazia; ma operare scientemente per il suo oblio, a tutto vantaggio del mercato e del “privato”, desiderosi di lanciarsi quanto prima sull’autentico business aperto dal ritiro dello Stato. Ma più Mercato e più privato, come abbiamo visto in questi anni, non hanno determinato minori prezzi e minori tariffe, né un miglioramento effettivo del potere d’acquisto dei consumatori.
Se poi si riflette sul fatto che tale diminuzione si forma concretamente abolendo o ridimensionando fortemente la progressività fiscale - dopo aver eliminato del tutto la tassa di successione per i grandi patrimoni - cioè privilegiando i ceti più ricchi e in presenza di una elusione totale, cioè di un sommerso, pari ad un terzo del PIL, allora emerge con nettezza l’iniquità della riforma, la sua insostenibilità sociale.
La delicatezza della questione e le sue implicazioni sociali, vorrebbe che il rapporto tasse/cittadini fosse trattato con meno primitivismo di quanto la destra liberista e il suo leader stanno facendo ormai da un decennio in Italia, alimentando una pericolosa irresponsabilità sociale e una rincorsa al condonismo generalizzato.
Tale modus operandi è, infatti, agli antipodi con le visioni democratiche moderne, basate sul valore della mediazione istituzionale e sulla centralità della norma e della regola. Per quanto da riformare, siamo convinti che allo Stato rimanga ancora un ruolo cruciale nel XXI secolo: quello di porre rimedio, attraverso la tassazione e l’erogazione di servizi, alle inevitabili disuguaglianze prodotte dall’economia di mercato.
Pensar di poterne fare a meno significa non conoscere la storia».

Nella foto: Silvio Berlusconi



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