Red
6 febbraio 2013
Rischia di perdere il rene, salva a Milano
Gli esperti del Policlinico di Milano hanno utilizzato uno stent che modifica il flusso del sangue. Ventisei anni, è la storia di una ragazza di Alghero che soffriva di una grave insufficienza renale

MILANO - Rischiava di perdere il rene trapiantato, ma è stata salvata con intervento mai tentato prima, realizzato nel Policlinico di Milano nell’ottobre 2012 e oggi, a distanza di tre mesi, il paziente sta bene. La ragazza in questione è Francesca, algherese di soli 26 anni, e da sette combatte contro una grave insufficienza renale. Nel 2007, un anno dopo aver scoperto la sua malattia, la madre le dona il suo rene e tutto sembra andare per il meglio: ma nel 2012 la situazione precipita. La storia fino ai giorni nostri - a lieto fine - è raccontata direttamente nel blog del Policlinico
L’unica soluzione sembra essere quella di asportare il rene trapiantato ed entrare nel tunnel della dialisi; ma con un nuovo intervento realizzato alla Fondazione Ca’ Granda Policlinico, mai descritto prima d’ora nella letteratura scientifica internazionale su un paziente trapiantato, oggi Francesca sta bene, e il suo rene è salvo. Ad aver ideato questa nuova soluzione è stato Antonio Nicolini, medico interventista del Policlinico. L’intervento viene eseguito nell’ottobre 2012 e oggi, a distanza di tre mesi, Francesca sta bene. Non è stato necessario aprire l’addome per l’operazione, e neppure usare l’anestesia generale. Ma soprattutto, il rene che sua madre le ha donato è salvo: il che, ovviamente, è il successo più grande.
Per capire esattamente in cosa consiste questo innovativo intervento, però, bisogna fare un passo indietro, e raccontare la storia dall’inizio.
Francesca è di Alghero, in Sardegna, e ha 19 anni quando comincia ad accusare dei forti mal di testa. Fa delle analisi, e quasi subito si scopre che ha un serio problema ai reni: ha una insufficienza renale cronica. In pratica, è come se le arterie dei suoi reni fossero improvvisamente invecchiate, e non possono più svolgere il loro fondamentale lavoro. Soltanto un anno dopo, nel 2007, la situazione è ancora più grave, ed è necessario il trapianto: il rene glielo dona la madre, e per un po’ tutto va per il meglio. Francesca sta bene, non ha più sintomi e si trasferisce a Milano per studiare architettura.
Durante un controllo di routine, però, qualcosa non quadra: l’arteria collegata al rene trapiantato è gonfia in modo anormale.
E’ un aneurisma, ovvero una dilatazione molto pericolosa del vaso sanguigno che può ‘rompersi’ da un momento all’altro e determinare una grave emorragia. Senza quel controllo di routine, Francesca avrebbe potuto rischiare la vita. La situazione, comunque, non è delle migliori: il caso della ragazza viene sottoposto al Centro Trapianti di Rene del Policlinico, diretto da Luisa Berardinelli. Dopo un’attenta valutazione, la soluzione migliore sembra essere quella di rimuovere il rene trapiantato, anche se è l’unico che ha Francesca; poi va ricostruita con una protesi l’arteria dilatata, ed iniziato il ‘tunnel’ della dialisi, con tutte le conseguenze cliniche e psicologiche del caso per una paziente così giovane. Prima di procedere viene chiesto il parere del dottor Nicolini, per tentare di capire se davvero non c’è modo di salvare il rene trapiantato.
”Ma tutte le possibili procedure chirurgiche o interventistiche classiche non garantivano alcun risultato valido. Allora – racconta lo stesso esperto – ho preso in considerazione un nuovo tipo di stent, uno di quei ‘tubicini’ che si utilizzano ad esempio per evitare gli infarti cardiaci, ma di concezione completamente differente“. Un’arteria, aggiunge, “è come se fosse un tubo in cui il sangue scorre in modo lineare; quando si forma un aneurisma, però, il flusso del sangue diventa vorticoso, questa è una delle cause che determina l’aumento dimensionale dell’aneurisma, portandolo prima o poi a rompersi“. Lo stent scelto da Nicolini “non tiene semplicemente il vaso sanguigno aperto, ma è capace di modificare il flusso di sangue al suo interno; in pratica, trasforma il flusso da ‘vorticoso’ a ‘lineare’ grazie alla struttura tridimensionale dello stent stesso. Anche se è già stato usato per alcuni tipi di aneurismi, non è mai stato utilizzato in un caso di questo tipo“.
Foto d'archivio
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