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A.B. 2 agosto 2015
Cala il sipario sul Cala Gonone Jazz Festival
Teatro esultante per Campaner, Mozdzer e Sciola. Sul palco Youlook, Tempi di Cris e Sheila Jordan&Alberto Pibiri Trio
Cala il sipario sul Cala Gonone Jazz Festival

CALA GONONE - Alle grotte, “Tales for a Lady Day” di Fabrizio Fogagnolo, con Battista Giordano, Maria Lapi ed i Karel Quartet. La vibrante orchestra ha saputo conciliare ogni punto prospettico di percorsi e ambienti differenti che li hanno separati fino a domenica mattina, un momento ed un luogo ideali per ripensare e ridisegnare la musica del Novecento con approccio tecnico e stilistico rinnovato ed ameno. La voce di Maria Lapi è suadente, alta, versatile e si fa carico di adattare in chiave personale non solo Billie Holiday, punto focale della rassegna e tema principale del concerto, ma si muove agilmente tra i cantautori italiani (Endrigo, Paoli, Gaber) e la canzone tradizionale, popolare. Meravigliosi ed inappuntabili i brani scritti da Giordano, con una mediazione musicale del Karel Quartet e Fogagnolo, l’aria della grotta si è nutrita dell’intensità dell’esecuzione e dello spessore culturale intrinseco in questo lungo iter della storia della musica.

L’atmosfera dell’Acquario di Cala Gonone si è resa parte integrante della performance tutta in famiglia degli Swing Bross System, i ragazzi Laurent (tutti polistrumentisti) hanno saputo tenere sul palco la tempra necessaria e la giusta dose di estroversione al pari dei loro colleghi più navigati. Dietro, due genitori amorevoli e incoraggianti, lasciano questi talenti a sondare ogni angolo del gipsy jazz. Insieme a loro, Luisa Cottifogli, Gigi Biolcati ed Aldo Mella (domenica alle grotte), i YouLook, così chiamati per assonanza col dialettale piemontese “üluc”, ossia “allocco”: voci improvvisate, mille sorprese e squilli di trombe all’Acquario, un secchio usato come percussione e mimesi degne di uno slapstick, se non fosse che la loro è tutt’altro che nuda e muta esibizione. Due minuti con questi tre portenti accanto significa immergersi in un mondo bizzarro ed estremamente accattivante.

La sera del teatro è del cuore di pietra di Sciola, Campaner e Mozdzer. Un telo bianco per la proiezione mostra al pubblico una rovente San Sperate ed il giardino magnifico dalle piante rocciose. Pinuccio Sciola batte le pietre, scorre ed ascolta le loro esalazioni sonore. Gloria Campaner le trasforma in veri e propri strumenti. Si solleva lento il sipario, solenne e perentorio è il suono che ne viene fuori. Una tempesta di pianoforti si innalza sulle teste del pubblico, poi la luce: Leszek Mozdzer. Difficile dimenticarlo, impossibile non avere impresse nella mente le dita e mani di un così eccelso artista. Le ottave risuonano alte ed ipnotiche, simili ai suoni appena uditi di quei calcari più piccoli ed appena sfiorati dalle provate e sapienti mani di Sciola. La musica si fa più flebile e non meno martellante, Campaner fa la sua comparsa avanzando leggera tra le discromie del palco, si avvicina alle pietre alla destra del piano. Cattura i suoni, Gloria, li lascia respirare e da loro un’anima come la più bella delle favole. Una volta al piano, ritorna in se, in quella donna che il pubblico conosce e della quale ama la leggiadria, il vigore e la maestria. Le campionature di Mozdzer ed il suo interagire con le pietre si mescolano al piano come il più brillante degli ornamenti. Proseguono con archetti e tastiere i due, alternandosi agli strumenti. Leszek sfoggia un archivio di suoni con l’ausilio di quelli del sintetizzatore tra i quali spicca l’ululato del “theremin”. Un racconto lungo due ore, un flusso inarrestabile di esperimenti, risoluzioni, prove, arpeggi, sensazioni tattili e delicate, ma anche mostruose e stranianti trascinano gli astanti in un vortice sensoriale dentro il quale il pubblico vorrebbe perdersi nuovamente, con l'augurio che i tre artisti si cimentino e rinnovino ancora questo sodalizio in futuro.

(Foto di Giulio Capobianco)
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