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A.C. 21 gennaio 2009
La Primavera di Praga: il ’68 dimenticato
Il 19 gennaio 2009 il 40° anniversario della morte del giovane studente cecoslovacco Jan Palach
La Primavera di Praga: il ’68 dimenticato

ALGHERO - «Rivisto nella sua totalità, dal maggio di Parigi all’agosto di Praga, il 1968 ci appare oggi come l’anno di una doppia resa al delirio ideologizzato da una parte, alla prepotenza armata dall’altra», (Enzo Bettiza).

Praga, 16 gennaio 1969. Jan Palach, studente ventunenne, si da fuoco dinanzi alla statua di San Venceslao. Il suo gesto estremo di protesta contro l’occupazione sovietica diviene il simbolo della ribellione del popolo cecoslovacco, schiacciato ed oppresso dal totalitarismo comunista. Il suo sacrificio, cui ai suoi funerali renderà onore una folla immensa (circa 800mila persone), sancisce il tramonto della “Primavera di Praga” e del “socialismo dal volto umano”.

Il 5 gennaio 1968, lo slovacco Alexander Dubček è eletto segretario generale del Partito Comunista Cecoslovacco, succedendo ad Antonín Novotný. Il nuovo segretario, dopo aver riunito intorno a sé un folto gruppo di intellettuali e politici, avvia un programma di riforme politiche che egli stesso chiamerà “socialismo dal volto umano”. La “Primavera di Praga” (in ceco Pražské jaro) ha ufficialmente inizio e registra, in Cecoslovacchia come nel resto d’Europa, entusiastici consensi. L’esperienza della Primavera termina bruscamente il 20 agosto 1968 quando i carri armati del’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia, con la sola eccezione della Jugoslavia e della Romania, invadono la Cecoslovacchia. Il processo di liberalizzazione e di riforme voluto da Alexander Dubček e dai suoi collaboratori è divenuto una minaccia reale e concreta per il blocco comunista. La dottrina Brežnev (o dottrina della sovranità limitata), introdotta nel novembre 1968, è assai esplicita e non lascia adito a dubbi: «Quando le forze che sono ostili al socialismo cercano di portare lo sviluppo di alcuni paesi socialisti verso il capitalismo, questo non diventa solo un problema del paese coinvolto, ma un problema comune ed una preoccupazione per tutti i paesi socialisti».

Dubček, a differenza dell’ungherese Nagy che dodici anni prima era assurto a leader della Rivoluzione, riesce a evitare il processo e la condanna a morte, ma andrà incontro ad un umiliante declino politico e umano. Gustav Husák, dapprima cauto nei confronti del nuovo corso e poi avversario di Dubček, è eletto segretario generale nell’agosto ‘68. Nel volgere di pochi mesi lo status quo ante è ripristinato a Praga e in tutta la Cecoslovacchia. La Primavera costituisce ormai un capitolo chiuso. Non potendo più vivere senza Libertà, Jan Palach – e come lui altri giovani – decidono di darsi fuoco. Le fiamme spegneranno le loro giovani vite, ma non cancelleranno il significato del loro estremo gesto. Quanto a Dubček, la sua figura sarà riabilitata solo dopo il 1989, quando il drammaturgo Vaclav Havel, in seguito eletto primo Presidente della Repubblica Cecoslovacca, ne riabiliterà la memoria.

Il ’68 praghese è l’unico, per la sua genuinità, degno di essere ricordato. Mentre il popolo cecoslovacco assiste, impotente, al brutale soffocamento di ogni anelito di Libertà, il ’68 occidentale, il ’68 di Parigi, Roma e Berlino si incammina su un sentiero che, in Italia e in Germania, porterà alla lotta armata e al terrorismo. Le Brigate Rosse e la RAF (Rote Armee Fraktion o Plotone dell’Armata Rossa) avrebbero lasciato una lunga scia di sangue e delitti. Nell’Europa Occidentale, decine di giovani, figli di una società annoiata ed opulenta, si scaglieranno contro l’ordine costituito. I loro “maestri” sono Marcuse, Adorno, Horkheimer e le loro opere costituiscono i fondamenti della loro azione. A Praga, il gesto di un solo giovane rimarrà nella memoria e nella storia di un intero popolo. L’intellighenzia sovietica, dinanzi al clamore suscitato dalla Primavera di Praga e dal gesto di Jan Palach, cercherà in tutti i modi di cancellare ogni traccia del ’68 praghese, unico ’68 ispirato alla Libertà. L’essenza vera e profonda del ’68 europeo è riassumibile in una semplice frase: la Libertà oppressa in Europa Orientale, la società liberticida che si auto-opprime nell’Europa Occidentale.
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