S.A.
20 dicembre 2010
Il convegno "Africa Romana" celebra Neapolis
Uno degli ultimi argomenti trattati, è stato la straordinaria scoperta del porto cartaginese di Neapolis, compiuta recentemente in Tunisia dagli archeologi dell’Università di Sassari

SASSARI - Si è concluso sabato, con il discorso di saluto del suo fondatore, il rettore Attilio Mastino, il XIX Convegno internazionale di studi “L’Africa Romana”. Hanno partecipato al convegno 256 relatori, che hanno depositato agli atti 174 relazioni, più di 400 partecipanti tra iscritti e uditori provenienti da 14 paesi di diverse parti del mondo. Il comitato scientifico del convegno ha inoltre stabilito che la prossima edizione, la trentesima, si farà nell’autunno del 2013.
Uno degli ultimi argomenti trattati, nel corso della mattinata conclusiva del convegno, è stato la straordinaria scoperta del porto cartaginese di Neapolis, compiuta recentemente in Tunisia dagli archeologi dell’Università di Sassari e dai loro colleghi dell’Institut national du Patrimoine de Tunis. L’équipe archeologica tunisina impegnata negli scavi era composta dal direttore della missione Mounir Fantar, dai ricercatori tunisini Imed Ben Jerbania e Ouafa Ben Slimane e dai giovani archeologi Soumaya Trabelsi e Intissar Sfaxi.
Mentre l’Università di Sassari era rappresentata dai docenti e archeologi Pier Giorgio Spanu e Raimondo Zucca, dai laureandi in Archeologia subacquea Giovanni Meloni, Paolo Sechi e dalle due archeologhe Luciana Tocco e Adriana Scarpa del Consorzio Uno per la promozione degli Studi Universitari di Oristano. Lo scavo archeologico, terrestre e subacqueo, ha restituito elementi di straordinario interesse. Scavando un colossale riempimento funzionale alla fondazione di un edificio monumentale romano del III secolo d.C., per quattro metri di profondità, fino al suolo vergine, si è scoperto, fra i materiali residuali, appartenenti cioè a fasi storiche anteriori a quella del monumento, ceramica punica, vasellame ateniese, ceramica a vernice nera siceliota, vasi modellati a mano delle popolazioni autoctone e ceramica al tornio rivestita in argilla rossa (tecnica decorativa detta del “red slip”) o decorata a fasce e con altri motivi attribuibile al corso dell’VIII secolo a.C.
Tra gli altri oggetti spicca un grande frammento di urna a spalla sagomata, con decoro “metopale”, caratteristico delle produzioni di Cartagine dello strato I del tofet di Salambo. Finora tali materiali così decorati erano stati rinvenuti oltre a Cartagine, in Sicilia a Mozia e in Sardegna a Sulci, Sant’Imbenia (Alghero) e S’Uraki (S. Vero Milis) presso Tharros, come hanno confermato il professor Mohamed Hassine Fantar e il professor Piero Bartoloni, che hanno esaminato i reperti.
I reperti ritrovati costituiscono la più antica testimonianza dei rapporti fra gli indigeni libici e i Fenici dell’intero Capo Bon. L’archeologia rivela così nuove pagine della storia del Mediterraneo, legando insieme Tunisia e Sardegna, in nome del comune passato cartaginese, che determinò la nascita, sul Capo Bon e sulla costa sud orientale del golfo di Oristano, di due centri di mercato chiamati entrambi Neapolis, in rapporto ai traffici che furono instaurati, sotto il controllo di Cartagine, anche con i mercanti greci.
Nella foto: Neapolis
|