Valdo Dinolfo
21 luglio 2011
L'opinione di Valdo Dinolfo
G8, 10 anni fa preparavo uno zainetto
Dieci anni fà, a quest'ora preparavo uno zainetto, dentro poche cose, un cambio, una maschera antigas, salsiccia e formaggio, ma soprattutto la voglia di cambiare il mondo. Ero, eravamo convinti che "un altro mondo è possibile", un mondo dove ad essere globalizzato non fosse solo il profitto ma i diritti, un mondo dove le decisioni tornassero nelle mani del popolo e non in quelle invisibili del mercato neoliberista o in quelle delle grandi multinazionali.
Sul traghetto Porto Torres-Genova (attraccato poi a Savona, il porto di Genova era zona rossa) si discuteva di Fondo Monetario, di Banca Mondiale, il tutto accompagnato da un buon rosso e dal suono della chitarra di Michele (molto spesso tra le mani di un digosotto in borghese che vestiva i panni di un ex '68ino). Ero un ragazzino, appena maggiorenne, in tasca un diploma appena preso e sul viso una maschera anti gas, i GS, lacrimogeni illegali, ustionanti erano d'ordinanza per la polizia.
Eravamo in tanti, convinti delle nostre ragioni e convinti di aver ragione, purtroppo poi le nostre profezie si sono avverate, stati che si sbriciolano sotto i colpi della finanza speculativa lasciando per terra i cadaveri dei più deboli, contratti nazionali del lavoro distruttii, il lavoro costante dei maggiori affamatori (gli otto capi di stato e i loro padroni economici) che ammazzano in giro per l'Africa e il Medio Oriente, le guerre imperialiste per la dominazione e per il petrolio.
Le assemblee fiume, il caldo torrido delle sere di fine luglio, la militarizzazione di una città, i diversi colori del movimento, il rosso dei compagni, il bianco di Zanotelli e dei pacifisti, il rossonero degli anarchici, una forza eterogenea e variegata, dalle sacrestie ai centri sociali, passando per le sezioni comuniste e indipendentiste, ma soprattutto uomini e donne il cui unico obbiettivo era (per alcuni di loro, ancora è) creare un alternativa, provare a costruire un mondo diverso che avesse al centro la persona, la collettività e la solidarietà e non il profitto ed il denaro!
Un movimento internazionale che ha fatto paura a chi era convinto di poter comandare senza disturbo, un movimento che lo stato italiano ha voluto fermare con il "disordine pubblico" e con le armi e con la "macelleria messicana". Il disordine pubblico creato ad arte nella stanza dei bottoni, cariche inaudite su cortei organizzati, lacrimogeni illegali sparati ad altezza uomo, cariche da 4 lati (senza via di uscita), poliziotti infiltrati che assaltano caserme, che lanciano pietre, proiettili veri sparati ad altezza assassinio, piazza Alimonda, la scuola Diaz e infine Bolzaneto sono i simboli di un disegno ben stabilito in partenza.
Quell'odore acre per strada, la pelle che brucia per colpa di sostanze non convenzionali nei lacrimogeni, il sole, 30 gradi e kilometri e kilometri di corteo, i genovesi, belli bellissimi, gli applausi dai palazzi quando passavamo per le vie più popolose, le carrucole artigianali per calare dai balconi le casse d'acqua (una si è rotta e quasi quasi ci ammazza l'acqua caduta in picchiata). Ma soprattutto quella che io definisco la "sindrome di Genova" cioè come il mio corpo e la mia testa hanno reagito al vivere 3 giorni continui con il rumore degli elicotteri sopra la testa, questi volavano molto molto bassi per due motivi uno meramente psicologico (creare la sindrome) e l'altro repressivo (erano tutti forniti di una bolla bianca al lato che non era altro che una telecamera). Qualsiasi cosa facessi, dormire, assemblea, mangiare, corteo c'era perennemente il rumore sopra la tua testa.
Ancora oggi ho difficoltà a convivere con quel rumore.
Anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti. Cantava Faber e posso dire che è stata la colonna sonora di quei giorni. Quei giorni comunque siano andati sono stati un esperienza importante, mi definisco figlio di quella generazione ed è bellissimo vedere che, dopo il primo momento difficoltà, siamo quasi ancora tutti qua, sempre dello stesso lato a lottare per un mondo migliore. Con questa nota non voglio dire nulla, avevo solo necessità di raccontare quelle sensazioni a 10 anni di distanza e dedicarle a tutti i coloro che hanno vissuto quell'esperienza e la posso raccontare,in particolare a Simone, Giovanni, Michele, Gabriele, Claudia, Giovanni (e la sua spalla che lo ha trattenuto ad Alghero), a chi non la può raccontare, a Carlo.
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