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Monica Caggiari 1 settembre 2005
Con la danza che spezza si chiude la sesta edizione di Isole
Domenica al Piccolo Teatro Rina De Liguoro è andato in scena il coinvolgente spettacolo dell’associazione Carovana S.M.I. di Cagliari, in collaborazione con la crew Sirbones e Djris (Estrema Ratio)
Con la danza che spezza si chiude la sesta edizione di Isole

ALGHERO - Una danza che tocca le corde dell’immaginario collettivo. Una danza che scandisce le tappe di uno sviluppo delle performance visive che, basandosi su tradizioni e forme espressive legate alla commistione tra religiosità e credenze popolari, arriva ai giorni nostri arricchito di sfumature artistiche inedite. Lo spettacolo che domenica, al Piccolo Teatro Rina De Liguoro, ha chiuso la sesta edizione della rassegna “Isole” della Compagnia Teatro d’Inverno sembra complesso, ma nella realtà ha saputo guidare gli spettatori con semplicità, immergendoli in un atmosfera di intenso coinvolgimento.
“La danza che spezza, Hip Hop e altro”, a cura dell’associazione Carovana S.M.I. di Cagliari, in collaborazione con la crew Sirbones e Djris (Estrema Ratio), ha ripercorso la storia delle danze tribali, etniche e legate alle tradizioni, che hanno scandito la storia del ballo in Sardegna, dai primordi fino al panorama attuale. Ed è sulla scena contemporanea che si è catalizzata l’attenzione della coreografa e ballerina Ornella D’Agostino, che da ben 12 anni studia e fa ricerca in tale direzione. “L’indagine sulla danza”, come la definisce la danzatrice cagliaritana in perenne viaggio, ha come prerogativa quella di conoscere nella maniera più ampia possibile la Danza in Sardegna. Una danza che si muove tra luci e ombre, dove il movimento del corpo è costantemente messo in risalto dal gioco creato dall’avvicendarsi di chiarore e oscurità
Per rendere al meglio l’idea del percorso, svolto dalla danza nei millenni, sono stati utilizzati numerosi canali comunicativi. Sulla scena del Piccolo Teatro è salita la danzatrice, il capo cinto da una maschera a tre facce, inquietante e rivelatrice delle numerose sfaccettature di questo mondo nel mondo. A fare da sottofondo sono state per tutta la serata delle proiezioni, che, sovrapponendosi in un delicato gioco di immagini fuse con le ombre dei ballerini, hanno contribuito a ripercorrere i numerosi tipi di danze tradizionali. L’attenzione dello spettatore, frammentata dall’incessante scorrere delle immagini, era però dominata da una voce guida, profonda e dal marcato timbro sardo, familiare, ieratico, intellettuale.
Di particolare intensità è stata la parte dedicata al movimento Hip Hop, abbinato, con maestria e grazie ad un’eccellente conoscenza delle due forme espressive, alla Capoeira. La lotta degli schiavi deportati in Brasile, il “dissing” nei rap dei neri d’America si sono così fusi in un sincretismo che nella danza unisce sacro e profano, tradizione e innovazione, mescolate e amalgamate, tanto da rendere quasi irriconoscibile l’origine, che alla fine è sempre la stessa: la necessità degli esseri umani d’interagire, attraverso le forme più disparate, talvolta molto tortuose, ma sempre e comunque funzionali alla comunicazione.
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