Luigi Coppola
28 ottobre 2005
Antonello Salis chiude il festival Raighinas
Alla Sala Sassu un esclusivo concerto per sola fisarmonica, conclude una rassegna destinata evento culto di tradizione sarda. Bilancio incoraggiante oltre le attese. L’appuntamento di Naima per la prossima primavera con la seconda edizione

SASSARI - Le radici di una solida pianta destinata a crescere, ramificarsi, portare frutti. La cultura, l’esplorazione delle origini, il viaggio nell’anima della tradizione sarda in simbiosi con le culture dei popoli. Il seme e l’acqua di queste radici: la scoperta e il dialogo fra le persone; l’arte e la storia, il linguaggio di una comunicazione che attinge alle fonti del passato le conoscenze per approcciarsi al futuro. In un legame di continuità con le nostre origini, le radici. Un assioma ripetuto, cuore nella settimana del primo Festival Raighinas, voluto fortemente da Naimi. I dubbi e le incognite dell’esordio sono stati superati dalla risposta del pubblico: numeroso ed interessato. Il favorevole consenso ha ripagato l’impegno ed il lavoro dei promotori che hanno speso se stessi in questa scommessa. L’appuntamento per la seconda edizione nella prossima primavera (dovrebbe coincidere con la domenica della Cavalcata Sarda), è il giusto riconoscimento all’iniziativa, accreditata dal sostegno delle istituzioni locali (Provincia e Comune). La serata conclusiva consumatasi giovedì 27 ottobre alla Sala Sassu del Conservatorio sassarese, ha offerto un esclusivo concerto per sola fisarmonica d’Antonello Salis. Alla presentazione, l’affettuoso ricordo amarcord d’Andrea Dessì (Naima) nell’evocare il mitico “Piper” di Sassari, dove il giovanissimo Salis nel 1969, muoveva i primi passi di una nuova musica “energetica” col suo primo gruppo, i “Nati Stanchi”. Circa trenta anni dopo, l’eclettico musicista di Villamar, non smentisce il valore aggiunto della sua musica senza confini. Negli oltre novanta minuti dell’esibizione che scorre via tutta di un fiato, incantando gli oltre cento “traditori” della libera telecrazia del molleggiato (per un curioso caso anche il Rockpolitik di Raiuno, tratta le Radici), il monologo per sola fisarmonica è un viaggio noir, Salis il superbo condottiero.Un lungometraggio sonoro: un viaggio alle radici della musica, con una macchina alimentata solo con l’estro e l’energia di un grande artista. Difficile ascoltarlo e non pensare ad un altro amante di questo strumento, Astor Piazzola, grande nell’averlo trasformato da comparsa a protagonista nell’universo musicale. Con un look afro americano, Salis viaggia a 360°, fermandosi in più stazioni del sound totale. Con un coro sommesso da sottofondo, traccia un canale dove, fluido scorre il fiume di musica. Talvolta impetuoso con rapidissimi e violenti slang da tastiera che sorprendono anche i più attenti in platea. Spesso con tratti oltreoceano che ricorda i country americani del vecchio west. Una commistione d’immagini e suoni di filoni eterogenei, sempre tessuti da una trama armonica impeccabile. Sillogismi figurati che sconfinano in musiche tecno: un treno che corre all’impazzata o una nave che cerca l’approdo. Riprende il viaggio fantastico: contaminazioni orientali, flamencate sino ad all’approdo mediterraneo europeo con un ricercato e più vicino funky jazz. C’è lo spazio anche per ironiche parodie classiche, quando abbozza la quinta di Beethovhen “non sì fa…- così non c’è plagio…”, avverte quasi schernendosi, sino ad arrivare a Fellini con svisate sulla “Dolce Vita”. Una fisarmonica, il cui ventaglio può offrire di tutto, senza alterare l’autenticità degli autori: da Mozart a Pat Metheny, da Beethoven a Fellini passando per Cerri o Gaber ovviamente con l’esclusiva cura e arte di un musicista di pari livello. I tre minuti d’applausi e quelli che seguono coi bis, piantano nuove radici per una musica davvero infinita.
Nella foto Antonello Salis ripreso da Nando Rocca
|