Salvatore Marino
11 ottobre 2014
L'opinione di Salvatore Marino
Immigrazione e solidarietà: Alghero si divide
Sul tema dell'immigrazione, sia quella originata dalla ricerca di migliori condizioni di vita sia quella originata dalla fuga dalle zone di guerra, si contrappongono due Italie che discutono da posizioni antitetiche soprattutto su come gestire le emergenze e su come praticare l’accoglienza. E Alghero, la nostra città, non si sottrae a questa disputa e ugualmente si divide sul tema, a torto o a ragione. Alcuni soffiano sul fuoco, innescando paura, tensione e talvolta fomentando odio. A seconda dei casi sono agguerriti, usano parole d'ordine rozze e grevi, ma proprio per questo capaci di affascinare altri individui. Poi c'è chi affronta il fenomeno con sconfortante superficialità, quasi non lo interessasse, relegando "il problema" immigrazione a una questione di mero ordine pubblico. C'è infine chi capisce che una soluzione va trovata, nella legalità ovviamente, ma anche nel rispetto del principio dell' accoglienza, dell'integrazione, dell'inclusione. E allora due parti si fronteggiano: una arrabbiata, coi pugni serrati che ogni tanto sbava livore. Che vede i suoi sentimenti di insofferenza verso l'immigrato amplificati, esacerbati, quasi giustificati, dalla sua stessa condizione sociale, che spesso è fatta di precariato, mancanza di lavoro, nuove povertà, emarginazione sociale. L'altra è quella dei buoni sentimenti, accusata di "buonismo" (portateveli a casa vostra Rom e africani... si sentono spesso rimproverare), ma che è solidale, partecipe, con i piedi per terra, tipico di chi sa guardare in faccia la realtà e tenta di trovare una soluzione.
Il tema della contesa sarebbe quindi quello dell'accoglienza e del rispetto della persona straniera e sembra che a prendere il sopravvento, a vincere la partita, sia il sentimento dell'indesiderabilità. Irregolari, clandestini e rifugiati politici sono un indistinto, un corpo unico da espellere, non li vogliamo tra di noi, anche quando sono ridotti in schiavitù come nei campi di Rosarno, del Casertano o trattenuti in condizioni che offendono la dignità del genere umano nei centri di cosiddetta "prima accoglienza" siciliani. Io penso che nell'agire degli individui, specialmente sui temi che riguardano il complesso della sfera dei sentimenti e della sensibilità, ci sia sempre una libera scelta tra modalità contrastanti; si può decidere di essere appassionati o indifferenti, cinici o sensibili, passionali o gelidi. Con l'immigrazione è la stessa cosa: se si costruiscono ponti si facilita l'integrazione e si rafforza la sicurezza dei cittadini mentre se si alzano muri o si usa la clava si ottiene l'effetto contrario. Il potere politico ha anch'esso due strade: può pensare che l'immigrazione sia una scelta scellerata e può decidere di conseguenza di non realizzare la società multietnica, operando con leggi restrittive e orientando i cittadini in tal senso. Sarebbe una libera decisione e in effetti alcuni stati la praticano. Oppure il potere politico può decidere che la società multietnica non solo non la può determinare, ma viceversa deve prendere atto che è già nelle cose, che è un fenomeno già configurato e irreversibile, che non possiamo né arrestare né contrastare. E in tal caso l'immigrazione (e la società multietnica) va affrontata con atteggiamento positivo, che tra l'altro è l'unico modo per governarla.
Bisogna però considerare che in Italia, così come ad Alghero, non è facile (e neanche risolutivo) scardinare pregiudizi consolidati, aggiornare convinzioni radicate, dislocare le migliori risorse intellettuali e morali a difesa del tema immigrazione. Il tema vero che ci deve interessare è quello delle soggettività, delle identità, anzi delle diverse soggettività e identità, che dobbiamo imparare a conoscere e a praticare e che sono una inestimabile ricchezza se tutti riusciamo a dare e a ricevere qualcosa dall'altro. Ecco, le "razze", ma non come corpi da trafficare e schiavizzare come purtroppo succede, ma come identità, talenti, da contaminare e mai da nascondere o sotterrare. Fare l'insegnante è un mestiere bello e ingrato e nelle mie classi tutti applichiamo la "pratica delle diverse identità”. Ho studenti bianchi, gialli e neri. Biondi nativi e biondi non nativi in quanto adottati. Lisci, ricci, con le treccine, con lo Chador e con le creste. Senegalesi, marocchini, ungheresi, rumeni, cinesi, italiani, sardi impuri e sardi puri, figli di meravigliosi incroci. Anche il loro insegnante di matematica è un immigrato. E ancora cattolici, musulmani, protestanti, ortodossi (e mettiamoci pure atei e pagani). Ma sono classi meravigliose, in cui si parla dei luoghi di provenienza di ciascuno, in cui non c'è il problema dell'accoglienza e dell'integrazione tra le diverse soggettività. I miei studenti lo sanno che l'integrazione è un fattore essenzialmente culturale anche se gli adulti spesso faticano a comprenderlo. Appena avrò l'occasione gli ricorderò una delle caratteristiche fondamentali della cultura mediterranea che si è sviluppata nel corso dei secoli: è stata quella di modificarsi creativamente in meglio dall'incontro con altre culture, realizzando queste fantastiche mutazioni senza chiusure preconcette. I miei studenti non sanno cosa sia il sentimento dell'indifferenza o dell'intolleranza verso l'altro, perché sono cresciuti con l'altro. Diciamo che sono immuni dalla patologia dell' insofferenza verso lo straniero. E poi non hanno bisogno di assumere la pozione magica dal pentolone per ricordarselo... come Obelix ci sono cascati dentro fin da piccoli.
*Insegnante ed ex assessore provinciale all'immigrazione
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