Nicola Sanna
27 aprile 2015
L'opinione di Nicola Sanna
Il mio primo 25 Aprile
Il mio primo 25 Aprile, l'ho festeggiato e partecipato avendo una certa consapevolezza dei fatti e del suo significato, nel 1975.
Tutti dicevano che era il 30esimo anniversario della liberazione dell'Italia dal Nazifascismo. Per me, che nel 1975 avevo appena 12 anni, 30 anni mi sembravano un tempo lunghissimo, una distanza di tempo da quei fatti del 1945, che non riuscivo a comprendere, tanto mi parevano tanti, tantissimi, tanto mi appariva distante quell'anno 1945.
Furono le mie professoresse della scuola Media n. 3 P.Tola di Via Monte Grappa di Sassari, a coinvolgermi, assieme a tanti miei compagni di classe, in un percorso di conoscenza e partecipazione al significato della Resistenza Partigiana. Ricordo nitidamente di un film che venne proiettato nella sala riunioni della scuola che raccontava del coraggio con cui le suore di un convento di religione cattolica, all'indomani dell'emanazione delle vergognose leggi razziali che consentirono di consegnare ai nazisti tedeschi migliaia e migliaia di ebrei italiani, diedero ospitalità e nascondiglio a decine di ebrei, persone di una religione diversa da quella cristiana, che erano braccati da italiani che avevano scelto di tradire i propri principi di fratellanza e eguaglianza davanti a Dio, principi professati dalla religione che Mussolini, pomposamente aveva voluto dichiarare essere la religione di Stato. Ebrei Italiani braccati da italiani che avevano scelto i valori ideali, sociali e politici sbagliati.
La parte giusta dell'Umanità, già nell'agosto 1789 aveva prodotto la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, la prima dichiarazione votata liberamente e democraticamente dall'Assemblea costituente Francese. In essa si rivendicavano i diritti naturali dell'individuo; il diritto alla libertà personale, alla libertà di pensiero, alla libertà di opinione, alla libertà d'espressione; alla legittima resistenza all'oppressione, all'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Tutti principi traditi dal Fascismo, tutti principi calpestati dal Nazismo. Sono grato a quelle mie care insegnati di allora, come sono assai grato a tutte e tutti gli attuali insegnanti della stessa scuola Media n. 3 che avant'ieri, dopo 40 anni da quel mio 1975, e dopo 70 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, hanno voluto ricordare le venti vittime innocenti, i venti bambini ebrei uccisi dai nazisti nella “Bullenhuser Damm” di Amburgo, tra cui Simone un bimbo di 7 anni di Napoli finito in quell'inferno perché ebreo, con la realizzazione del giardino delle rose bianche. Così come ringrazio i ragazzi dell'Azuni che si esibiranno al palazzo di città.
Da quando non ho più 12 anni, ed ho compreso le dimensioni del tempo necessario al compiersi di una vita che da giovani ci appare scorrere così lentamente, perché da giovani bramiamo diventare grandi in fretta, mi rendo davvero conto solo da qualche tempo di come e quanto il tempo, invece, corra tanto veloce e comprendo solo ora quanto siano così pochi i 70 anni che ci separano dalla più grande tragedia mondiale mai vissuta dall'umanità. Comprendo solo ora quanto erano pochi allora, nel 1975, gli appena 30 anni che ci separavano dal 1945, e quanto erano appena un soffio di vita i 18 anni che separavano la fine della seconda guerra mondiale dall'anno della mia nascita. Avete visto e sentito tutti come Chiara e Maria, di appena 18 anni, partecipando al viaggio della memoria, che le ha portate a visitare il campo di concentramento di Auschwitz, o la stessa Presidente della Commissione Comunale per le pari opportunità, sentano il bisogno di completare la liberazione degli uomini e delle donne, sentano il bisogno di essere protagoniste, di fare qualcosa, di non essere indifferenti. Di continuare a cercare dove si annidano i luoghi comuni dell'indifferenza o della sottovalutazione delle differenze quale arricchimento della intera umanità. Ecco queste diverse gradazioni e sfaccettature del tempo che è passato e che vedo qui oggi davanti a me, in voi liberi e democratici, pacifici cittadini di Sassari, sono l'aspetto più significativo che intendo trasmettervi in questa mia riflessione sulla celebrazione ed il ricordo della fine delle atrocità.
Non è mai accaduto nella storia del continente Europeo che siano trascorsi 70 anni di pace ininterrotta, senza guerre tra le nazioni, come è avvenuto nei primi 40 anni del secolo scorso.
Non è mai accaduto nella storia del continente Europeo che un'entità costituita da 28 nazioni diverse, con lingue e religioni diverse, con colori della pelle diverse, si potesse unire democraticamente e liberamente senza versare una sola goccia di sangue. Questo è il grande valore e potenza dell'Unione Europea, della sua capacità di non chiudersi mai al dialogo. La storia dell'ultimo secolo, di questi ultimi 100 anni, sta a li a dimostrarci quanto sia stato facile fare le guerre, perdere la vita e le libertà, separare i popoli, le famiglie, violentare il paesaggio. Ricorre quest'anno anche il centenario della prima grande guerra: i valori positivi che talvolta ci attardiamo ad evidenziare, quale momento epico o glorioso, quale precursore dell'affermazione definitiva della nazione Italiana, sono ben poca cosa rispetto ai segni indelebili che tale evento ha lasciato nella memoria dei popoli e come da tale guerra si siano generate nuove povertà, nuove discriminazioni, nuove invidie e pretesti aggressivi, verso coloro che pretestuosamente venivano additati come responsabili delle difficoltà economiche del momento.
Abbiamo visto, studiato, e provato quanto sia stato difficile in questi ultimi 70 affermare la pace, l'uguaglianza e la democrazia, e come queste siano sempre sotto costante pericolo. Questi ultimi 70 anni stanno li a dimostrare invece quanto sia faticoso, anche al giorno d'oggi, in queste ore, praticare la tolleranza, l'accettazione del diverso da te. Quanto sia difficile parlare e praticare la partecipazione al progresso civile, economico e culturale di chi giunge nella nostra Italia, nel nostro continente perchè scappa dalla violenza, dall'ingiustizia, dalla morte. Questi ultimi 70 anni hanno dimostrato quanto sia sempre necessario impegnarsi quotidianamente, senza mai perdere la speranza di poter realizzare una società dove ci sia pari dignità sociale, dove tutti siano eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Ma questi 70 anni non sono un traguardo, non è invecchiata la resistenza, non sono invecchiati i motivi per l'affermazione dei principi di libertà democrazia eguaglianza, progresso civile ed economico, ancora di più in questa situazione di crisi e disoccupazione diffusa e durissima per le nostre genti, per il nostro popolo.
In questi ultimi 70 anni abbiamo lottato, perché non fosse scontato, ma anzi sempre riaffermato il principio che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Eppure ancora in queste ore dobbiamo stupirci ma anche combattere i luoghi comuni e le brutalità delle parole usate da un europarlamentare come Matteo Salvini che pratica l'odio razziale, l'egoismo viscerale come quando ha redarguito Gianni Morandi che, dopo l'ennesima tragedia nel Mediterraneo, aveva invitato i suoi fan con un post su Facebook a ricordare come anche gli italiani fossero stati un popolo di migranti. Ha ragione Gianni Morandi di restare sorpreso che più della metà di questi messaggi – circa 14.000 - facessero emergere quanto egoismo, quanta paura del diverso e anche di razzismo sia presente tra gli italiani, non se lo aspettava. In questi giorni, in questi tempi non dobbiamo avere paura di combattere o soltanto rimbrottare l'amico o gli amici o i parenti, o quei cittadini che non solo apertamente condividono o anche solo restano indifferenti a discorsi e atteggiamenti razzisti.
Ricordiamolo a tutti, anche a distanza di 70 anni che il razzismo, associato al potere politico può portare consenso solo al potere violento, antidemocratico, che può portarci solo alla persecuzione organizzata e istituzionalizzata, in una parola portarci a nuovi genocidi.
A questo proposito voglio ringraziare tutte le forze dell'ordine che hanno raggiunto il brillante risultato di assicurare alla giustizia questa cellula terroristica presente nella città di Olbia. Le forze dell'ordine sono un presidio della nostra democrazia e libertà la loro presenza, organizzazione sono al servizio della repubblica per garantire a noi tutti sicurezza e libero esercizio delle nostre attività democratiche. Il loro servizio, le attività di intelligence devono essere sostenute in un clima che non sia di paura nei confronti di chi fugge dall'odio, dalla guerra dalla miseria e dalla morte, ma d supporto e vigilanza tali da individuare e separare le genti oneste e pacifiche da chi vuole terrore e nuove guerre. Grazie alla Polizia di Stato ai Carabinieri, alla Guardia di Finanza ed alla Magistratura che hanno lavorato su questa vicenda. Del resto la timidezza con la quale, la comunità internazionale e l'Unione Europea, hanno finora affrontato le emergenze dei migranti che attraversano maldestramente il mediterraneo, stanno li a dimostrare che senza un inversione di rotta, volta a ristabilire una condizione di pacifica convivenza sulle coste settentrionali dell'Africa, si rafforza un opinione pubblica egoista ed impaurita che preferisce non intervenire, preferisce stare indifferente.
Con le parole di un grande padre della nostra Isola e del pensiero progressista moderno, il nostro Antonio Gramsci, voglio ricordare le sue parole a proposito della indifferenza popolare: “Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? Perciò vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.” Ed allora per dimostrare ancora una volta quanto debba essere popolare, viva allegra e partecipe la festa della liberazione del 25 Aprile come liberazione dalla dittatura e dalla guerra, di quanto debba essere forte la fiducia negli italiani credo che siano di grande aiuto le parole di Francesco De Gregori; Viva l’Italia, l’Italia che lavora, l’Italia che si dispera, Viva l’Italia che si innamora, l’Italia con le bandiere, l’Italia nuda come sempre, Viva l’Italia con gli occhi aperti nella notte triste, viva l’Italia, l’Italia che resiste.
*Sindaco di Sassari
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