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Carlo Mannoni* 10 dicembre 2020
Il pino superstite a Porto Conte
L’area sul mare, davanti all’Hotel Capo Caccia a Porto Conte nella rada di Alghero, è ampiamente e severamente tutelata. Ci risiamo, e ciò che è avvenuto nei giorni scorsi è interpretato da qualcuno come un segno del mutar dei tempi. Speriamo si sbagli
Il pino superstite a Porto Conte

La foto lo immortala come l’unico esemplare vivente ancora presente in una landa deserta che pare un “cranio rasato a zero”, con un malinconico ciuffetto di capelli rimasto intonso. “Tundiu a rasu”, avrebbero esclamato nei paesi del Campidano, ai tempi della mia giovinezza, per descrivere un approssimativo e sbrigativo taglio di capelli. Sarà un ginepro o un semplice pino? La foto non è esplicita, ma è pur sempre un sopravvissuto, risparmiato dalle feroci ruspe usate come cesoie da una incontenibile mano annientatrice. Tutt’attorno un uniforme color marrone caratterizza tutta l’area, a due passi dal mare, e fa da stridente contrasto col verde della vegetazione circostante densa di pini, ginepri e altra macchia mediterranea, simile a quella estirpata come un’intrusa. Pare una vasta distesa predisposta alla semina, per quale raccolto non sappiamo, ma senz’altro prezioso se si è arrivati a tanto.

A poche centinaia di metri la sede del parco di Porto Conte, il supremo vigilante di quello scrigno di territorio. Nessuno, a quanto si sente in giro, si è accorto di nulla. Il pino superstite, o ginepro che sia, interrogato sull’accaduto non ha voglia di parlare, non scuce parola. Se ne sta lì triste e sconsolato, esposto ai venti provenienti dal mare. “Potevano recidere anche me. Per quale disegno imperscrutabile mi hanno lasciato in vita; quale il senso di tutto ciò?”, si domanda senza trovare risposta. “Una provocazione. È stata una provocazione”, gli risponde l’arguto maresciallo della forestale, che indaga. Dagli uffici del Parco avrebbero potuto lanciargli un urlo, per fermarli: “Fermatevi, che fate, siete fuori di senno?”. Quell’urlo, se ci fosse stato, lo avrebbero sentito sino ad Alghero, a S. Anna, sede del Comune, e forse si sarebbero fermati.

L’area sul mare, davanti all’Hotel Capo Caccia a Porto Conte nella rada di Alghero, è ampiamente e severamente tutelata. Dopo un periodo storico di non incolpevole permissivismo – quando l’uomo ha cominciato a lasciar libera la sua bramosia di espandersi a scapito della natura più preziosa – il sito è stato sottoposto a una benedizione laica impartitagli con i crismi delle leggi, dei decreti e dei piani, da ultimo il Ppr, per sottrarlo agli atti sacrileghi, in termini di paesaggio, dell’uomo. Chi ha violato la legge? O, ancor più grave, chi si è inserito furbescamente negli interstizi dei decreti e dei piani per lasciarsi andare a quella nevrotica opera devastatrice? Anche il più spregiudicato dissacratore del paesaggio sa lavorare, oggi, di cesello presentandosi come “rimodellatore” della natura. A Cagliari, nel palazzo del Consiglio regionale, sede della funzione legislativa dei sardi, si apprestano, a giorni, a modificare in parte quei piani e quei decreti a colpi di articoli di legge. “Prepari cemento e cazzuola, ora arriviamo noi”, promise qualche anno fa un presidente in pectore della Regione a un suo elettore. Ci risiamo, e ciò che è avvenuto nei giorni scorsi a Porto Conte è interpretato da qualcuno come un segno del mutar dei tempi. Speriamo si sbagli.

*già assessore ai Lavori Pubblici della Regione Sardegna
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