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A.B. 5 dicembre 2008
Michele Sechi: l’Accabadora diventa un film
Sarà presentato questa sera il nuovo cortometraggio del regista sassarese, "Sa femina accabadora, in pentitentzia de morte"
Michele Sechi: l’Accabadora diventa un film

SASSARI - Percorre i secoli per raggiungerci, una delle innumerevoli ed affascinanti figure della Sardegna arcaica: l’Accabadora. Questo termine, di origine castigliana, alla lettera ha il significato di porre fine, far terminare. Proprio questa era la funzione della Accabadora, cioè di porre fine alla vita di un ammalato grave, per il quale si pensava non ci sarebbe stata guarigione. Forse una forma ante litteram di eutanasia, sicuramente una pratica dettata dalla necessità in una società agropastorale nella quale, chi, come un malato terminale, procurava ai familiari chiamati ad assisterlo profondi disagi, impedendo loro di potersi dedicare al lavoro, quindi alla sopravvivenza. Tutto sembra librarsi tra religiosità e superstizione nello svolgersi di un rito crudo e violento ma inteso e imperniato nelle società sarda dei secoli scorsi.

Intorno a questa figura a manifestarsi, da sempre, controversi atteggiamenti di rispetto e disprezzo, per una donna alla quale si attribuivano anche poteri magici. Ella interveniva, su richiesta dei familiari del moribondo, quando questi pativa lunghe e gravi sofferenze, dopo il tramonto del sole o alla notte. Alta e segaligna portava indosso una veste nera, il viso era semicoperto, con lei l’attrezzo del mestiere “Su mazzolu”, un martello intagliato nel legno di ulivastro che utilizzava per colpire la vittima sulla fronte, o ad una tempia, o ancora sulla nuca oppure al torace. Forse questa la pratica più diffusa, ma non l’unica, considerate quella del soffocamento o dello strangolamento e quella mediante l’ apposizione di un giogo da buoi. Il rito, freddo ed articolato, prevedeva anche la recita di preghiere, ninne nanne o formule, con il fine di separare l’anima del moribondo dal suo corpo, e quindi liberarla.

A descrivere questa controversa figura, nel suo ultimo cortometraggio, è il regista sassarese Michele Sechi che guidato dalla sua attenzione per la cultura e le tradizioni popolari della sua isola, racconta di un episodio che, nel corso del secolo passato, per via di una fortuita circostanza, associò l’azione dell’Accabadora della comunità ad un episodio di faida. Si racconta che questo avvenne un paese della Barbagia occidentale dove l’Accabadora, nota come “Il corvo”, in quanto vedova era, per puro caso, anche stretta consanguinea di una famiglia in lotta per una vecchia faida familiare contro la famiglia dell’ allora malato grave per il quale si rendeva necessario il suo intervento. Contrariamente alla convinzione dei parenti del malato, secondo i quali la donna, forse per una ragione etica, non avrebbe mai associato le due cose, ad ella non parve vero di poter utilizzare il suo ruolo ufficiale per vendicare il proprio familiare trucidato nella faida, operando perciò apparentemente senza rancore, sfogò la sua rabbia solo quando, stringendo le mani al collo della sua vittima per portarla alla morte, recitò alcuni versi che lei stessa compose e che resero esplicita e premeditata la sua azione di vendetta. Una catena di sangue eterna e spietata quella delle faide che nemmeno la terminatrice riesce a spezzare: l’odio non ammette attenuanti.

La realizzazione del cortometraggio, scritto e diretto dall’autore, è stata possibile grazie alla collaborazione con il produttore indipendente Gian Paolo Dessolis, che ha curato anche la direzione della fotografia, e alla preziosa collaborazione con la compagnia teatrale Paco Mustela di Sassari che, tramite il regista Pierangelo Sanna, ed alcuni dei suoi attori, ha interpretato i personaggi della storia. E’ proprio in virtù di questa solida collaborazione che l’autore ed il regista, hanno voluto trarre dal cortometraggio un adattamento teatrale, un coinvolgente percorso alla scoperta di questa tenebrosa figura che, attraverso una particolare scenografia ed un suggestivo gioco di luci, racconta dell’Accabadora accompagnando il pubblico attraverso mitologiche figure rappresentate dalle maschere dei “Boes” e “Merdules” di Ottana che alterneranno la loro presenza a quella degli attori, creando un filo conduttore che culminerà con suggestivi “attitos” (canti funebri) finali.

L’appuntamento è fissato per oggi, venerdì 5 dicembre, alle ore 21, al Teatro Smeraldo di Sassari. Nell’occasione, l’autore presenterà il cortometraggio con uno spettacolo che sarà articolato in tre sezioni: la mostra degli storyboard fotografici a cura del direttore della fotografia Gian Paolo Dessolis, la proiezione del cortometraggio ed, infine, la rappresentazione teatrale diretta da Pierangelo Sanna.



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