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Monica Caggiari 11 marzo 2005
Analisi del giornalismo, tra pubblicità ed interessi extra–editoriali
La seconda Commissione, attivata in funzione dell’analisi dei rapporti tra pubblicità e interessi extra–editoriali, ha svolto un lavoro molto particolare e ha rivelato alcuni dati che hanno fomentato divergenze d’opinioni, soprattutto in merito ai nuovi media e al lavoro dei giornalisti on-line, soprattutto di quelli che si occupano di quei vasti contenitori che sono i maggiori portali del web italiano
Analisi del giornalismo, tra pubblicità ed interessi extra–editoriali

ALGHERO - Il referente è stato in quest’occasione Paolo Paolini, il quale ha subito evidenziato come la pubblicità sia la principale fonte di reddito per i quotidiani regionali, anche se La Nuova Sardegna guadagna qualcosa di più dal numero di copie vendute. Poi ha spiegato che anche la Regione contribuisce, attraverso le campagne pubblicitarie istituzionali. La presenza massiccia di pubblicità implica spesso la necessità di accontentare, in parole povere, i clienti che spesso, soprattutto in rete, chiedono dei servizi pubbliredazionali, ovvero delle pubblicità camuffate dal lavoro giornalistico e che spesso vengono utilizzati per raggiungere il numero di pezzi richiesto per l’iscrizione all’albo, sia dei professionisti, sia dei pubblicisti. Secondo Paolini questo non è corretto, perché svilirebbe la professionalità di queste persone e la caratteristica intrinseca del lavoro giornalistico, che è quella di far accedere i cittadini alle notizie, con il solo scopo di informare. «Pubblicizzare un prodotto – così Paolini – di qualunque genere, non è lavoro giornalistico».
Tuttavia è doveroso segnalare che spesso si tratta di un lavoro imposto dall’editore, che mira a mantenere in questa maniera l’abbondante flusso pubblicitario che gli permette di mandare avanti l’azienda. Ed è proprio questo uno dei numerosi problemi emersi durante i due giorni di dibattiti. I primi ad essere accusati sono stati gli editori, colpevoli di aver assunto un ruolo troppo manageriale, a discapito della qualità e della genuinità del lavoro giornalistico. Paolini ha quindi affermato l’estrema urgenza di porre dei freni a quella, che viene vista come “decadenza professionale”, e che necessita di una «battaglia per evitare che i giornalisti restino degli esecutori sottopagati della volontà degli editori».



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