Luciano Deriu
30 aprile 2006
Piano paesaggistico, innovazione, rigidità e nuove crociate
L’indicazione per la nuova ricettività turistica sono gli alberghi in città che prospettano un intelligente scambio di culture, assai lontano dai villaggi enclave avulsi dal territorio

ALGHERO - Sul Piano Paesaggistico il livello di concertazione, indicato dalla Legge 42 del 2004, è molto ampio. Le “osservazioni” autorizzano non solo a verificare singoli elementi tecnici, ma ad entrare nel merito complessivo del Piano, con la proposta di modifiche profonde e di nuove progettualità, evitando crociate referendarie. Sono evidenti nel Piano molti errori di rilevazione e di restituzione grafica, per i quali non sembra il caso di mobilitare le folle. Gli errori si correggono e basta. Entrare nei contenuti consente di leggere le linee guida e di osservare anzitutto come formalmente non sia posto alcun vincolo, ma la definizione dei valori paesaggistici porti con sé obbligatoriamente una serie di vincoli reali. Dai quali occorre anzitutto sottrarre senza ambiguità non solo le attuali aree urbane ma anche quelle che verranno indicate nei futuri PUC, restando solo i vincoli a monte, derivati da precedenti istituti statali. Nelle zone F, abolite dal PPR, si individuavano i paesaggi di maggiore pregio per dedicarli all’edificazione. Rovesciare quella logica era necessario e oltretutto imposto dal Codice Urbani. L’indicazione per la nuova ricettività turistica sono gli alberghi in città che prospettano un intelligente scambio di culture, assai lontano dai villaggi enclave avulsi dal territorio. Ma l’indicazione può essere estesa nell’extra urbano a molti spazi antropizzati e in particolare alle borgate che sono di fatto frazioni dei centri urbani, dove la presenza dell’albergo, purché compatibile con i valori paesaggio, può costituire un elemento vivificatore. Irrisolta appare invece la questione dei campeggi che potrebbero essere disciplinati dal Piano del Turismo sostenibile. Sull’edificazione nelle campagne, mentre si cerca di mettere ordine ad un settore che viveva ai margini della legalità, basta forse rendere più esplicito ciò che il Piano contiene, prevedendo due diverse tipologie insediative. Per la prima, “Edificato urbano diffuso”, localizzata vicino ai centri urbani, non viene indicato nessuna dimensione minima del fondo, mentre si richiede la predisposizione di Piani di zona comunali. Nella seconda, “Edificato in zona agricola”, l’edificabilità residenziale è concessa alle aziende agricole con un fondo minimo di 2 ettari se si tratta di attività produttive specializzate, che sono la quasi totalità. Al momento la percezione prevalente che si è creata attorno al Piano Paesaggistico è quella di un contenitore rigido e vincolistico. Ciò è in parte vero, ma è anche vero che esso contiene una nuova interessante prospettiva per lo sviluppo della Sardegna, indicando quale “grande opera” per la nostra isola la riqualificazione del territorio e la messa in valore del patrimonio paesaggistico, non solo come patrimonio identitario, ma come prodotto di mercato, dove i valori del paesaggio sono considerati capitale ad alto rendimento. È questa l’idea che sottende al Piano e che ha bisogno di essere evidenziata e comunicata. Comunicare il Piano, non per osannarlo o denigrarlo, ma per discuterne i contenuti, le luci e le ombre, per proporre anche modifiche di sostanza, diventa una necessità e non solo per gli addetti ai lavori, amministratori e costruttori, ma per tutti i soggetti rappresentativi di interessi diffusi, dalle imprese alle scuole, alle associazioni, alle parrocchie. Perché la pianificazione del territorio è qualcosa che appartiene a tutti.
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