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Guido Melis 3 luglio 2012
L'opinione di Guido Melis
Essere presbiti, non miopi
<i>Essere presbiti, non miopi</i>

Quel che manca, in un dibattito pure interessante, è un'idea della Sardegna che vogliamo. Cioè la capacità - fondamentale quando si fa politica - di saper guardare oltre l'orizzonte, di saper prevedere e, possibilmente, se non proprio governare almeno indirizzare il futuro. Lo stato della Sardegna nella crisi è drammatico. Vengono a conclusione le politiche innescate negli anni Sessanta del secolo scorso, in primo luogo con lo smantellamento sistematico della grande industria, più o meno sostenuta dalla finanza pubblica. Si conferma la tendenza al decremento demografico e all'invecchiamento della popolazione. Si registra il persistere della fuga dei cervelli, le energie giovani dotate di risorse culturali. Appare in tutta la sua evidenza il fallimento di una classe politica e dirigente che ha demolito le cose buone messe in campo negli anni di Renato Soru.

Il punto adesso è: dove va la Sardegna degli anni futuri? Verso quali possibili scenari? Uno, certamente, è dato dal quadro della globalizzazione e consiste nella crescente, sovrastante interdipendenza delle economie, che toglie ulteriormente spazio alle ipotesi di una separazione economica e politica della Sardegna dall’Italia. Non sto a insistere su questo punto: rimando alla esemplare messa a punto di Giorgio Macciotta sulla "Nuova Sardegna" di qualche giorno fa. Un altro scenario riguarda la questione mediterranea, cioè l'enorme sommovimento (storico, per molti versi) che si annuncia sulle sponde nord dell'Africa, e che la sistemazione provvisoria della primavera araba non sembra possa fermare a lungo. Sono francamente esterrefatto della insensibilità del dibattito politico sardo rispetto a eventi che maturano a pochi chilometri di distanza dalle nostre coste.

Nel quadro di un'Europa non solo volta al Nord ma anche al Sud, il nostro ruolo in quella direzione potrebbe diventare strategico, se sapessimo agire con una "diplomazia" adeguata e capire le enormi potenzialità che ci offre la nostra posizione geografica. Qui entra in gioco una chiave che si preannuncia come la chiave di volta del domani, italiano e non solo: l'immigrazione. Una regione messa come è messa la Sardegna a far da ponte verso il continente africano, tendenzialmente in calo demografico, potenzialmente svuotata di insediamenti (sempre più si conferma l'immagine della grande ciambella, con la poca popolazione schierata sulle coste e per lo più addensata nell'hinterland cagliaritano) non può non ragionare sulle risorse che possono venire da flussi regolati e concordati provenienti dal Nord Africa. Si possono in questo teatro innescare politiche di collaborazione imprenditoriale (se ne è parlato di recente in Parlamento nelle associazioni bilaterali con Tunisia e Algeria); si possono concordare collaborazioni inter-universitarie; si può puntare a comuni processi di insediamento nel campo dell'agricoltura. Da cui potrebbero nascere nuove prospettive, alcune oggi di difficile individuazione.

Sono troppo generico? Forse. Ma questa è la strada, e su questa strada dovrebbe mettersi con coraggio la buona politica. Aggiungo una terza indicazione. La ricerca. Perché non pensare (lo si è detto e solo parzialmente fatto in passato) che la Sardegna possa produrre beni immateriali ma di grandissimo valore come sarebbero i prodotti della ricerca? Idee, progetti, brevetti. Specificamente in campi strategici per la nuova industria del Duemila, quella che non presuppone necessariamente la grande fabbrica. Esistono settori di nicchia sui quali si può, partendo dalle vocazioni naturali della Sardegna, investire. Come è accaduto negli anni scorsi in alcuni fortunati distretti industriali dell'Italia pensinsulare. A patto che la politica non sia miope ma presbite, che antiveda, che abbia fantasia e che lavori per creare un habitat nel quale i ricercatori (sardi e non: si potrebbe fare una politica per attrarne da fuori, per esempio dai paesi del terzo mondo) e gli imprenditori (sardi e non) entrino tra loro in contatto.

Quando finirà la Grande Crisi che ci attanaglia tutto sarà cambiato: l'economia, innanzitutto, perché le crisi - dolorosissime - fanno anche pulizia e eliminano le parti più deboli e obsolete dei sistemi produttivi, costringendo all'innovazione le forze sane; ma anche la politica, perché già oggi appare chiaro che non ci sarà seria politica senza competenze che la innervino, la sostengano e le diano fiato e obiettivi. E una regione periferica come la nostra potrebbe, in quel contesto, quando anche la tradizionale gerarchia centro/periferie fosse messa fuori gioco, fare una sua partita, magari vincente. A patto però che un a classe dirigente nuova, radicalmente e qualitativamente migliore della attuale, sappia pensare al futuro e guidare saggiamente le forze sane della società sarda lungo quella strada. Questa è la scommessa. Altro che follie indipendentiste e simili universi fantasiosi. Usiamo la fantasia della concretezza per capire dove si va e quale può essere il nostro ruolo. E il Pd prenda in mano con coraggio questo processo: produca idee, si leghi ai mondi della ricerca e della cultura, metta nelle sue bandiere una nuova idea di Sardegna per il Duemila. Con coraggio, senza compromessi, innovandosi al suo interno e innovando la società sarda.

*Camera dei Deputati
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