Fabio Bacchini
25 luglio 2013
L'opinione di Fabio Bacchini
Architettura e Alghero solo amanti
Quando ci valuta il Censis, siamo i primi in Italia. Quando ci valuta l’Anvur – che guarda alla ricerca che fanno i Dipartimenti nazionali – siamo sul podio. Ma se qualcuno dovesse valutare il rapporto che abbiamo con la città che ci ospita, non credo che arriveremmo molto in alto in classifica. Quasi tutte le altre realtà universitarie hanno con le città che le accolgono relazioni nettamente più strette ed euforiche: collaborano in moltissimi modi, si danno manforte, sono convinte dell’importanza che rivestono le une per le altre, e non riuscirebbero più a immaginarsi separate. Il Dipartimento di Architettura e la città di Alghero, invece, mantengono una distanza. Si stimano, ma con qualche sospetto; si ripromettono di collaborare, ma non riescono mai a farlo realmente; convivono, ma trascorrendo il tempo per lo più per conto proprio. La scintilla non è mai scoccata davvero. Noi non siamo stati capaci di sguinzagliare le nostre capacità e il nostro sapere per le vie della città. E la città non si è mai coralmente interessata a noi, convinta che le priorità fossero altre e che la fortuna – lo sviluppo, il lavoro, le prospettive future – non passassero attraverso la nostra presenza.
Certo nessuno dei due può lamentarsi dell’altro. In particolare, il Dipartimento ha avuto in dotazione fin da subito gli immobili di maggior pregio da parte della città. Un fatto innegabile, del quale siamo sempre consapevoli e molto grati. Ma io sto parlando di un’altra cosa: del sentirsi irrimediabilmente legati, del progettare l’avvenire insieme. Questo sovrappiù passionale finora (almeno secondo me) non c’è stato. Ed è un vero peccato: perché rappresenta un acceleratore di energie che può consentire a una città e a un Dipartimento di balzare fuori dai problemi e dalla crisi con una vitalità insperata. Alghero è una città a vocazione turistica. Ma deve convincersi definitivamente che il modello turistico di qualche decennio fa è tramontato. Non è più verosimile pensare al turismo come a un fenomeno stagionale, e alle attività che ne derivano come ad attività che possano andare in letargo per otto mesi. Quell’impianto aveva senso in un paese fondato sul lavoro industriale, sul rito collettivo della pausa estiva e sul concetto di ferie come momento dell’anno in cui si concentrava la dissipazione spensierata del surplus familiare.
Declinando questi meccanismi della vita economica e sociale, anche le sue conseguenze devono cedere il passo – e fra esse c’è la possibilità di una città accesa d’estate e spenta d’inverno su cui Alghero ha indugiato in passato. Il rinnovamento passa attraverso il sapersi riprogettare, al riparo da soluzioni pigre, superate o illusorie.
E su questo il Dipartimento (che non è solo di Architettura, ma anche di Urbanistica e Design) può dare una grossa mano. Alcuni miei colleghi studiano proprio questo: come si avviano processi di sviluppo turistico non in una sola mossa (apro un campo di golf e arrivano i giocatori), ma attraverso inneschi indiretti che prevedono una catena causale a più tappe o una rete di effetti virtuosi. La vita è complicata, ma il sapere può aiutare a dirigerla dove vogliamo. E ad Alghero c’è ancora tantissimo da fare: escogitare i tanti ruoli che possono avere le periferie nel futuro della città; dare forma ai parchi urbani; prevedere modalità di utilizzazione delle risorse naturali che siano preservative; allargare lo spettro delle alternative al costruire nuovi edifici; intervenire con l’architettura sostenibile; e chissà quante altre cose. Abbiamo sempre detto che saremmo felicissimi di essere coinvolti su tutti questi temi in un tavolo permanente. Non è ancora accaduto.
Forse non abbiamo reso evidente la nostra voglia di fare. Forse ci siamo fatti vedere dalla città come un gruppo di professori troppo presi dai loro ruoli e dai successi nelle varie classifiche che citavo. Siamo disposti a smettere di ripetere quanto siamo bravi e a darci da fare? Sì. Siamo pronti. Ma sarebbe così importante per noi sentire con maggior forza di essere una parte costitutiva del meccanismo che fa muovere la città. E sarebbe così bello che, quando abbiamo un problema grave, la città intera si mobilitasse per aiutarci a risolverlo. Questo vorrebbe dire essere legati. Al momento attraversiamo una dura crisi finanziaria. Mentre in passato la Regione ci riconosceva un finanziamento speciale in quanto sede distaccata dell’Università di Sassari, da qualche anno quel respiratore è stato chiuso, con il pretesto che Alghero sarebbe parte dell’area urbana di Sassari. Somme notevolissime continuano ad essere erogate ai corsi di laurea ospitati da altre città sarde diverse da Sassari e Cagliari – ma non a noi. Occorre farsi sentire. Noi vorremmo dare per scontato che la città di Alghero sia fisicamente al nostro fianco per opporsi a questa ingiustizia. Se protestiamo solo noi, quella che arriva a Cagliari è una vocina molto flebile. Perché l’intera città non alza la voce? È qui che manca il legame di cui parlo. Come mai siamo così soli in questa importante battaglia?
Poi c’è il problema degli spazi. Come ho detto, abbiamo avuto il meglio, e avremo presto il complesso di S. Chiara, che è un gioiello straordinario. Non possiamo certo lamentarci. Certo ci chiediamo dove inizieremo le lezioni a ottobre, se i lavori termineranno troppo tardi – cosa purtroppo molto probabile. Sembra che sia un problema solo nostro, mentre dovrebbe essere un problema di tutti. Ma c’è una questione di fondo, più vasta. Quando parliamo di spazi, non parliamo di voler stare più larghi, né di ambire ad avere uffici con poltrone in pelle e vista mare. Gli uffici dei docenti rimarranno piccolissimi ed essenziali in alcune ali dell’Asilo Sella. Noi abbiamo bisogno di aule e di laboratori in cui i nostri studenti costruiscano plastici, aprano tavole di progetto e lavorino in gruppo su foglioni di carta larghi come lenzuoli. Perché così studiano gli architetti e gli urbanisti in tutto il mondo. Hanno bisogno di uno spazio più abbondante degli altri studenti, così come i chimici hanno bisogno di provette e gli astronomi di telescopi. Sarà pure una iattura, ma è così. E allora o ce ne andiamo da un’altra parte (ma non vorremmo: noi amiamo Alghero), o abbiamo bisogno di attenzioni costanti sul fronte degli spazi.
La mia impressione è che molta gente in città ci percepisca a volte – quando chiediamo più metri quadri e ci lamentiamo del fatto che gli studenti non riescono a dispiegare le loro carte – come degli ingrati piantagrane che chiedono sempre di più, e allora sarebbe stato meglio realizzare un albergo extralusso al S. Chiara e tanti saluti.
Questo è un grande dispiacere per noi. In effetti siamo convinti che anche dal punto di vista economico destinare il S. Chiara ad Architettura anziché alla ricezione alberghiera di fascia alta convenga alla città. Siamo settecento persone che vivono stabilmente ad Alghero, e organizziamo convegni e conferenze che portano qui centinaia di persone al mese in media. Professoroni americani che dicono “I love Alghero!” aspirando il sigaro, e professoresse tedesche che decidono all’istante di organizzare anche la prossima edizione del loro congresso qui la prossima primavera. Attiriamo tanti studenti Erasmus, ormai anche un po’ di studenti dal resto d’Italia. Non possiamo finalmente capire che remiamo tutti nella stessa direzione? Forse la verità è che la città di Alghero – in questo simile a tutte le città, ormai – non riesce a lottare con noi perché non riesce più a lottare per sé stessa.
Come si spiega che stia perdendo l’occasione di avere un’Aula Magna di Alghero nel S.Chiara – un grande spazio pubblico per la città, dove svolgere gratuitamente convegni, riunioni, assemblee e attività culturali in genere, aperto a tutti? Al momento chiunque abbia bisogno di una sala conferenze deve affittare strutture private. Una luminosissima opportunità si sta chiudendo senza che ci siano rimostranze, proteste e mobilitazione. Si tratta di una decisione politica di una miopia sconcertante; e chiaramente è la città intera a rimetterci, non Architettura. Il silenzio e l’indifferenza della città su questa questione testimoniano di una astenia civile preoccupante. Allo stesso modo, la città sembra apaticamente disinteressata alla prospettiva che al S. Chiara vi sia una grande biblioteca viva, europea, luminosa e aperta anche di notte – un vero centro nevralgico per gli studi e gli incontri – cogestita da Comune e Università, anziché una biblioteca sonnacchiosa, ordinaria, poco frequentata e dotata di orari ambulatoriali.
Le due opzioni non sono equivalenti; ma Alghero non sta avendo le forze per afferrare quella che fra le due è con ogni evidenza la più vitale.
Forse quindi la mancanza di passione, da entrambi i lati, che deploro è inevitabile: è una conseguenza di tempi bui e scoraggianti, e le sua cause sono troppo profonde per essere modificate. Può darsi. Ma io sono convinto che scusare le nostre mancanze con assoluzioni o giustificazioni di tipo storico spetti a chi verrà dopo di noi, non a noi. Altrimenti l’appello all’inesorabilità di certe dinamiche è solo un alibi: un’autoassoluzione. Per questa ragione penso che Architettura debba essere più umile, disponibile, collaborativa, aperta e curiosa. Più pronta a lavorare per la città che la ospita da dodici anni. E i cittadini di Alghero devono essere più fieri di questa loro creatura, e più capaci di tirare fuori le unghie per proteggerla. L’altra possibilità è vivacchiare, rivolgersi lodi di prammatica nelle occasioni pubbliche e occuparsi soltanto dei propri problemi. Ma ci piace sul serio? E soprattutto: i problemi di Architettura e quelli di Alghero sono realmente separabili?
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