L’ex tennista toscano, a capo dell’Accademy Florence Tennis School, segue attualmente alcuni tra i migliori atleti azzurri
ALGHERO – Fabrizio Fanucci è ad Alghero in questi giorni per il
torneo internazionale di tennis in corso di svolgimento negli impianti di Maria Pia. Attualmente è a capo dell’“Accademy Florence Tennis School” di Firenze, ed ha accompagnato in Sardegna, in veste di coach, Daniele Bracciali, Massimo Dell’Acqua, Uros Vico, e suo figlio Pietro. Ma il cinquantaduenne fiorentino, prima di diventare un allenatore, è stato giocatore di buon livello internazionale. In singolare è arrivato alla posizione 309 nel 1982, disputando la finale a Vevey nel 1980 e la semifinale a Fermo nello stesso anno. In doppio, ha toccato la 400esima posizione nel 1983, vincendo il torneo Satellite di Riccione cinque anni prima. In più, nel 1974, ha vinto un campionato italiano a squadre.
Com’è il movimento tennistico italiano visto dall’interno?
«Tanto movimento, tanti ragazzi. Un gran movimento forse più numericamente, poi la qualità lascia un po’ a desiderare».
Lei è uno dei pochi ex tennisti italiani che ancora girano per il mondo come coach.
«E’ vero, la percentuale bassissima ed è un grosso danno. Degli ex tennisti della penultima generazione non ce n’è uno che lavora nell’ambiente. Non si guadagna, è difficile. La Federazione dovrebbe lavorare più da questo punto di vista. Il sistema è “allenatore-giocatore” e gli allenatori sono pochi. La Fit dovrebbe puntare sugli allenatori, ma non so quali siano i programmi».
Molti di questi ragazzi sono al debutto internazionale. Com’era la situazione ai suoi tempi?
«Quando abbiamo iniziato a giocare, non conoscevamo neanche la classifica Atp. Nel 1974 ero “Prima Categoria”. Il primo torneo all’estero lo giocai solo quattro-cinque anni dopo. Eravamo autarchici, poi qualcuno ha cominciato a muoversi. Il movimento dei giocatori è buono da una quindicina di anni. Io sono ottimista e morirò ottimista, non voglio fare polemiche. Investo nella mia accademia, da me si sono allenati Starace, Luzzi, Bracciali, Galvani e tanti altri, ho trentaquattro maestri e un’attività del genere costa. Si spera sempre che qualcuno venga a chiedere: “Hai bisogno di qualcosa?”. I soldi che vanno via sono tanti e gli sponsor sono difficili da trovare. Tutto quello che ho fatto, lo faccio a spese mie. Qualche allenatore buono c’è, ma poi magari va via per offerte migliori e devi ricominciare da capo con qualcun altro».
Se un giovane tennista viene da lei a Firenze e gli chiede di allenarlo, che succede?
«Ci si prova. Purtroppo costa tanto e spesso noi ci rimettiamo. Tante spese, è un cane che si morde la coda».
Quando suo figlio Pietro le ha annunciato che avrebbe voluto seguito le sue orme e diventare un tennista, come ha reagito?
«Mi sono messo le mani nei capelli. E’ la passione della sua vita, ma è difficile. Si prova, tanti ragazzi vogliono arrivare. Ora, con i paesi dell’est e quelli asiatici, per gli italiani c’è meno spazio. Ovviamente sono più i delusi che quelli che arrivano. E’ quasi normale, ma il numero è altissimo».
Com’è la situazione organizzativa in Italia? Il rapporto tra strutture private e Fit?
«Si perde un sacco di tempo. Si fanno le strutture giuste e poi, in alcuni casi, si mettono le persone sbagliate. Ora ho avuto un incontro col presidente Binaghi, che mi ha assicurato che si andrà a lavorare tutti verso un obbiettivo comune. La concorrenza può esserci tra i privati, ma non con la Federazione».
Nella foto: Fabrizio Fanucci